Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello (Chiusaforte Udine 1967 - Cassacco Udine 2017). Ha diretto la collana di poesia La barca di Babele, edita a Meduno e fondata da un gruppo di poeti friulani nel 1999. Ha pubblicato i seguenti libri: Le nebbie (1994), La misura dell’erba (1998), Amôrs (1999), Dentro Gerico (2002). Con Dittico (Liboà, Dogliani 2004) ha vinto il premio Montale Europa di poesia. Assetto di volo (Crocetti, Milano 2006) è stato vincitore dei premi Pisa (2006) e Bagutta Opera Prima (2007). Nel 2008 ha pubblicato la sua prima raccolta di prose e interventi intitolata Il dio del mare (Lineadaria, Biella 2008). Nel maggio 2010, con Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, Milano 2010), vince il premio Viareggio-Repaci. Nel 2013 Rizzoli ha pubblicato la sua prima opera narrativa Questa libertà ed in contemporanea anche la raccolta di tutte le poesie Azzurro elementare. Con Questa libertà vince il premio Terzani 2014. Sempre nel 2014 ha pubblicato un nuovo libro per bambini, Ogni goccia balla il tango (Rizzoli 2014). Nel 2016 a Udine ha pubblicato il libro di poesie Stato di quiete con prefazione di Jovanotti (BUR contemporanea, Rizzoli, Milano 2016). Nel 2018 è uscito il volume postumo Un prato in pendio, che include poesie e prose inedite (BUR contemporanea, Rizzoli, Milano 2016).

Gerico


È raro sentire cantare in strada
molto più raro sentire fischiare
o fischiettare
se qualcuno lo fa
l'aria sembra fargli spazio
ti sembra che un refolo muova
la flora dei tuoi pensieri
ti metta dove prima non eri;
ma come passa chi fischia
la noia stende le vertebre al sole
e tu rientri dov'eri
dietro il douglas dei serramenti
dentro il livore
degli appartamenti
al tango delle dita sul tavolo ti chiedi
da quali trombe scosse
scrollate le mura
per quali brecce potremo vedere
– fresca –
come un sogno appena sbucciato
la terra che calpesteremo, allegri.

 

Le poesie sono tratte da Azzurro elementare, Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

Parole povere


Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.


Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.


Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.


Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.


Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.


Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.


Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.


Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.


Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.


Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.


Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.


Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.


Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.


Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.


Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.


Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.


Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.


Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.


Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.


Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.


Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.


Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.


E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande.


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

Ombre


Sono nato al di qua di questi fogli
lungo un fiume, porto nelle narici
il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio
di quando nevica, la memoria lunga
di chi ha poco da raccontare.
Il nord e l'est, le pietre rotte dall'inverno
l'ombra delle nuvole sul fondo della valle
sono i miei punti cardinali;
non conosco la prospettiva senza dimensione del mare
e non era l'Italia del settanta Chiusaforte
ma una bolla, minuti raddensati in secoli
nei gesti di uno stare fermi nel mondo
cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste
di ceppi che erano state un'eco di tempo in tempo rincorsa
di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende
in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci
di novembre, raccoglie l'aria di tutte le albe del mondo;
come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera
ho sognato di raggiungere i miei morti
dove sono le cose che non vedo quando si vedono
Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta
alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo
e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne
scampati al tiro della storia
quando i nostri aliti di bambini scaldavano l'inverno
e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri
oltre gli sguardi delle guardie confinarie
un odore di cipolle e di industria pesante premeva, 
la parte di un'Europa tenuta insieme 
da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi. 
Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto 
da una mano anonima, geniale 
su di un muro graffito alla periferia di Udine, 
il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate
nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io. 
E qui, mentre intere città si muovono 
sulle piste ramate degli hardware
e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato, 
mio padre torna per sempre nella sua cerata verde 
bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere 
come fosse eternamente schiuso. 
Se siamo ancora cosa siamo stati, 
io sono lo stare di quell'uomo bagnato dalla pioggia, 
che portava in casa un odore di traversine e ghisa 


e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall'ombra 
si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano 
a misura del passo del tramonto, bianco; 
e anche se le voci del mondo si appuntiscono
e qualcosa divide l'ombra dall'ombra 
meno solo mi pare di andare, premendo un piede 
dopo l'altro, secondo la formula del luogo, 
dal basso all'alto, seguendo una salita.


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

(mondimi me)


Da AMÔRS


VI
      
Mondimi me, che par volê florî
di flôr in flôr florint soi deventât
ramaç no in flôr nì niçulât da l’aiar:
libare tu, Domine mê, la mê
libertât, metimi dentri tai vôi
la lûs tenare e garbe de to piel di vencjâr:
l’amôr al è cuant che i miei deits
a tocjâti a deventin
la ponte dai tiei.


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

 

(mondami)


Mondami, che per voler fiorire di fiore in fiore, fiorendo sono diventato un ramo senza fiore, né mosso dal vento: libera tu, Domine, la mia libertà, mettimi dentro gli occhi la luce tenera e aspra della tua pelle di vinco: l’amore è quando le mie dita a toccarti diventano la punta delle tue.

Rondeau


Cun cheste lenghe nude e in nissun puest
nì mai viodût in lûs di nissun voli
se no dai miei cjalant i tiei celescj
jo mâr o clamarès chel to celest
tiscjel  il lum dal to tasê forest
e primevere il solc lunc dal to pet;
cjalanti , inte buere di me ch’e cres
falchet sarès se no tasès cjalanti
in cheste lenghe nude e in nissun  puest.


In nissun puest amôr ma nome in chest
l’amôr ti disarès ch’al è taront
l’insom e il sot ladrîs e zime in rime
e intal clarôr sul fîl da la tô schene
crît il clâr de lune clare compagne
bielece son li’ mans strentis in trece
li’ mês li’tôs e intor il braç de gnot
ch’a si davierç in lûs, nulinti, e in blanc
in nissun puest amôr ma nome in chest.


In nissun puest ma achì ti volarès
niçant adôr sul niçul des  peraulis
peraulis come fraulis ti darès
che vite ator ator e je tampieste
jo e te mâr fer tal mieç da la tampieste
e messedant i tiei cui miei cjavei
amôr plui tô la muse tô e sarès
e non il to plui non, cun dut il rest forest


in cheste lenghe nude e in nissun puest.


Le poesie sono tratte da Azzurro elementare, Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

 

 

Rondeau


Con questa lingua nuda e in nessun luogo, né visto mai
in piena luce da alcun occhio, se non dai miei guardando i tuoi celesti,
io mare chiamerei quel tuo celeste, castello il lume del tuo tacere straniero
e primavera il solco lungo del tuo petto; guardandoti, nella bufera di me che cresce,
sarei falchetto se non tacessi guardandoti, in questa lingua nuda e in nessun luogo.
In nessun luogo, amore, ma soltanto in questo, l’amore ti direi che è come un cerchio, 
il sotto e il sopra, gemma e radice in rima e nel chiarore sul filo della tua schiena,
grido il chiaro della luna del medesimo chiarore, bellezza sono le mani strette in una treccia,
le mie, le tue, e attorno il braccio della notte che si apre in luce, fiutandoti, e in bianco,
in nessun luogo, amore, ma soltanto in questo.
In nessun luogo ma qui io ti vorrei, cullandoti nel su e giù delle parole,
parole come fragole ti darei, che la vita attorno è una tempesta,
io e te mare fermo in mezzo alla tempesta e mescolando i tuoi con i miei capelli,
più tuo, amore, il volto tuo sarebbe, più nome il nome tuo, con tutto il resto straniero,
in questa lingua nuda e in nessun luogo.

Ritornare


I piedi hanno portato l’allegria delle impronte
i vostri piedini nella neve, bambini
nell’odore degli stivali di gomma
neri rossi celesti dove comincia la salita
dove finisce la discesa delle slitte
piegarsi nel ricordo, mi piego nel ricordo
a piedi uniti saltiamo nella neve
di quando guardare il cielo era una fantasia più grande
vera la verità delle cose toccate
sarà stato a quest’ora, sarò stato tante volte
lontano come a quest’ora, voce nella mia voce
occhio nel mio occhio rinnovato
mano mia nuova nel bianco della mia.


Maggio 2002


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

La luce toccata


A Chiusaforte Silvio intrecciava canestri
con mezzo cuore e il cuore dei bambini intorno
io dico ti ho visto nella mia veglia 
nel respiro acceso dell’alba
tra il fischio e il silenzio
e le dita andavano di vinco in vinco
come un’acqua nervosa, una spiegazione raccolta
nel tempo dietro questo tempo a mezza veglia
siamo venuti, io con le pupille di bimbo
e allora trattieniti adesso che torno
dentro il tuo odore di povero
nei boschi dove andiamo si dice lo sguardo
le labbra un profilo chiuso, il passo un passo radicato
qui, dove sono ora, nel battito del giorno alla finestra
nel sonno lasciato, nel millesimo di me
dove ogni debolezza è stata offerta
la pietra aperta, la luce toccata.


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

I vostri nomi


Ieri sono stato a trovarti, papà,
la luce in questi giorni non è tagliata dall’ombra
negli alberi senza vento c’è l’odore secco dell’aria
per come posso, ti ho portato il racconto dei temporali,
l’odore di inverno sulle tempie
a Chiusaforte è nevicato, nevica sempre
e le fontane sono ghiacciate
penso, per qualche momento, che tu sia ancora lassù
ad accatastare legna con cura
e non in luoghi come questi
la casa di riposo con la pista per le bocce
dove state raccolti come le foglie nel parco
uniti nell’attesa, lontani dalle città assediate.


Dicevate domani, dicevate questo è il figlio
e con il silenzio del fischio nella bufera
i vostri nomi sono andati via
voi che siete stati popolo e ombra
remissione e forza
il tuo nome, papà, e quello di Bruno, che non era un’antilope
e tirava sassate al pettirosso sul ramo più alto
o quello di Giordano, o quello di Cesare, o quello di Alfredo, l’artigliere 
o quello di quelli che, come te, sono stati bambini
che hanno detto domani.


E adesso non è troppo dire
quanto poche sono le foglie cadute
sui giorni di novembre
per dire cos’è l’inverno negli occhi mentre viene
tutto il poco possibile è qui,
nei vostri corpi piegati come l’ulivo
sulle vostre facce di monete graffiate
in questo spazio, in questo tempo confusi
come il cielo e la terra quando nevica,
e se c’è un’uscita, papà, anche se non posso dire domani,
la sua luce sulla soglia
è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei
questo pensarvi vivi, liberi e scalzi
le tasche piene di sassi, la memoria di voi
che trema in noi
come una stella incoronata di buio.


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

L' autostrada


E’ stato appena detto 
                          guarda, una lepre
da dov’era al più fitto del  bosco
è rimasta l’idea di un tema interrotto,
la felicità di quando non la si contiene
e scoppia via, lontana da noi. Da queste parti
c’è chi ha visto la lince, è capitato anche a me
anni fa, nel cuore della notte, vicino a un deposito di munizioni.
Cercavo Sirio per avvicinarmi al cielo e ho trovato la lince,
alle mie spalle, con gli occhi di madre arrabbiata. E’stato come se il nulla
avesse lasciato un varco e fosse sbucata
l’illustrazione di un libro di scuola
la bestia era lì, a due passi da me
e ho dimenticato lo splendore delle stelle fisse.
Non rimarremo qui senza uno scopo,
qualcuno dà per certa la presenza dell’orso
viene da est,e, come gli abeti, pare si avvicini sempre di più
a queste poche case. Invece non c’è chi non veda
come l’autostrada ha tagliato la pancia alla valle
e la gola di chi è rimasto;
mentre nevica no, il taglio si fa meno inciso
tutto si allontana, magari si diventa molli come erbe nell’acqua
e lo sguardo rinasce nello sguardo
di come le cose erano vere per la prima volta, nell’innocenza
e il ceruleo di un giorno di settembre
precipita in gola, il pallone sembrava tornato dalle nuvole
tanto in alto era stato lanciato dal padre
e c’era l’odore del fieno radunato prima della pioggia
e sempre queste poche case e tutto non è stato toccato
ancora non è stato toccato
ma si ferma in gola, al di qua del dire.
Il dolore tuo proprio, quello e non altro
la tua forma di guardare
più in là dei miei capelli
quando mi racconti, un ragazzino leggeva Camus
seduto su di un albero di more, stava sulla forcella
fra il tronco e il ramo più grosso mentre noi si forava la montagna
il fiume veniva violato e una polvere sottile si posava
sui tetti del paese, sui berretti delle sentinelle
nella caserma Zucchi, sul cartello”limite invalicabile”
si segnava una fine. Ci guardammo dopo
quando tutto era stato raccolto
e a noi stessi i nostri volti parvero lontani
adesso si sta quasi sereni, quasi leggeri
i bambini attraversano l’acqua nel tempo in cui dimagra
un saltello da un sasso all’altro;
non si rimane qui senza uno scopo
se la montagna frana, la mia faccia frana un poco al giorno


se il fiume si dissecca , il mio cuore è pronto a disseccare
se l’autostrada mette ombra all’ombra della valle
ne trovi il taglio qui, poco sotto l’ombelico
com’è vero che il cerchio si aggiunge al cerchio nel mutarsi del tronco.
Domani anche qui saremo in mezzo alle foglioline
si può dire la marea si può fermare
ma nessuno è capace di arrestarla
e noi si vive dentro questi metri crudi
e il vivere è portarne la scomparsa, 
un giorno alla volta comporne il nome.


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

Poesia scritta con la matita


Sono devoto all’anima di grafite della matita:
un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce,
sentieri imboccati con leggerezza
si riconducono alla docilità della via maestra
i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle,
l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato.


L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni:
nel suo stesso procedere in avanti
ci chiama alla possibilità del ritorno,
nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco
e Angelina torna a sorridere
tenendo per mano un bambino
abbagliato dal sole.


Tricesimo, 5 gennaio 2010


Le poesie sono tratte da Azzurro elementarePoesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013