Paolo Ruffilli è nato nel 1949. Si è laureato presso l’università di Bologna. Ha pubblicato di poesia: La quercia delle gazze (Forum, 1972), Quattro quarti di luna (Forum, 1974), Notizie dalle Esperidi (Forum, 1976), Piccola colazione (Garzanti, 1987; American Poetry Prize), Diario di Normandia (Amadeus, 1990; Premio Montale e Premio Camaiore), Camera oscura (Garzanti, 1992; Premio Dessì), Nuvole (con foto di F. Roiter; Vianello Libri, 1995), La gioia e il lutto (Marsilio, 2001; Prix Européen, Premio Giovanni Pascoli), Le stanze del cielo (Marsilio, 2008; Premio Rhegium Julii), Affari di cuore (Einaudi, 2011), Natura morta (Nino Aragno Editore, 2012, Poetry-Philosophy Award), Variazioni sul tema (Aragno, 2014, Premio Viareggio), Le cose del mondo (Mondadori, 2020; Premio Viareggio). Le sue poesie sono tradotte in francese, inglese, tedesco, spagnolo, arabo, giapponese. Di narrativa ha pubblicato: Preparativi per la partenza (Marsilio, 2003; Premio delle Donne); Un’altra vita (Fazi, 2010); L’isola e il sogno (Fazi, 2011); Fuochi di Lisbona (Passigli Editore, 2024). Di saggistica ha pubblicato: Vita di Ippolito Nievo (Camunia, 1991), Vita amori e meraviglie del signor Carlo Goldoni (Camunia, 1993), Maschere e figure-Repertorio dei tipi letterari (Il Ramo e la Foglia Editori, 2023); oltre a numerose curatele di classici italiani (Leopardi, Foscolo, Nievo, gli scrittori garibaldini) e inglesi (Morris, Emily e Charlotte Bronte, Dickens, Sterne, G. Eliot, Compton-Burnett, Lawrence), per Garzanti, Mondadori, Rizzoli. Ha tradotto: K. Gibran, Il Profeta (San Paolo, 1989), R. Tagore, Gitanjali (San Paolo, 1993), La Musa Celeste: un secolo di poesia inglese da Shakespeare a Milton (San Paolo, 1999), La Regola Celeste – Il libro del Tao (Rizzoli, 2004), Osip Emil'evič Mandel'štam, I lupi e il rumore del tempo (Biblioteca dei Leoni, 2013), Costantino Kavafis, Il sole del pomeriggio (Biblioteca dei Leoni, 2014), Anna Achmatova, Il silenzio dell’amore (Biblioteca dei Leoni, 2014), Boris Pasternak, La notte bianca-Le poesie di Zivago, Biblioteca dei Leoni, 2015); ha realizzato la versione poetica del poema L’aurora boreale di Theodor Däubler (Marsilio, 2 vol., 2023-2024). www.paoloruffilli.it
Nell’atto di partire
*
Quante volte già sono partito
appena giorno o nel cuore della notte
e, molte, controvoglia poi
finito nel dispetto con la testa
sulla soglia del ritorno.
Se si potessero tra loro sommare
una sull’altra tutte le rotte
e aggiungere le mete conquistate
deposte lì davanti foglia a foglia,
quale catena lunga di deriva
che atroce mappa, sì, della distanza
si comporrebbe nel totale sulle carte...
sarebbe la riprova certa di condanna
senza mai riposo, e si vedrebbe
che non si avanza di una spanna,
che più si va e meno si trova
e non si arriva da nessuna parte.
*
Stanze d’albergo da lasciare all’alba
con sollievo in fretta per un treno:
panni, letti sfatti, bagni inospitali.
Scendi e sali con tutto il carico
delle tue cose mai risolte e delle
attese piene andate sempre più perdute
in mezzo a quello che, si sente infine,
non ti appartiene se mai ti è appartenuto.
Nell’ora di sbandati lasciati senza meta e
senza orari dal moto inerte della vita.
Stazioni e bar, luoghi di scambio
dispersi dentro il vuoto: tutte le volte
così stordito, sbattuto tra la gente, fino a che
non te ne importa più niente di niente.
*
Pullulare di case dal bosco ininterrotto
e un fiato di salsedine contorce le budella:
dietro la curva l’ennesimo tramonto
picchia sui vetri rumoroso.
Di nuovo l’orizzonte, ecco, si ricrea
come mi accade sempre in questo posto.
Ma quello che si cerca ad ogni costo
– chissà mai perché – poi non ci appare:
arretra e di continuo intanto si cancella.
Come se il ponte, dall’altro capo
fino a qui di sotto, crollando in pezzi
all’improvviso ci portasse a fondo.
Che il mondo, allora, stia nascosto
sotto la sua ombra e il suo riflesso?
O che si lasci da se stesso a poco
a poco andare scivolando via?
O magari – è l’ipotesi più bella –
che proprio non ci sia...
ANTICAMERE
Quanti ingressi, vestiboli, poltrone,
sale d’aspetto con altri, cauti
e scaltri, passati avanti e noi restati lì
buoni e perplessi ad aspettare
il turno nell’anticamera del mondo.
Quante porte chiuse, sbattute o
trattenute... entrate e uscite
senza soluzione. Quante code fatte,
istanze e petizioni di nuovo presentate
per vedersi, in fondo poi, riconosciuto
proprio nient’altro che il dovuto.
L’ABBONDANZA
Parlo di me e di altri come me
condotti intanto dalla vita a mete
per la gran parte non desiderate,
e chiusi in una stanza intere notti
a ragionare dell’evidente verità di cose
dall'ombra a un tratto rivelate agli occhi,
di come l’abbondanza ci abbia reso
avari e ingordi senza fame o sete,
facendoci venire poco a poco a patti
con il lato peggiore di noi stessi
scordandoci le mire che avevamo in mente
in preda al gusto di tenere stretto,
comunque sia, quello che tocchi.
Ma… poi è un fatto che niente mai
al pari dell’avidità rende corrotti.
L’EVIDENTE
Tutto ciò che è troppo esposto
è poco interessante: l’evidente
che ti abbaglia e ti impedisce
di vedere la parte più importante.
Il resto, sia pur grande,
conta poco o niente. Perché
sta nel segreto e nel nascosto,
mai a vista, la molla della vita,
la ricerca e la scoperta, la conquista.
NATURA UMANA
Ha la natura umana una tendenza:
l’irresistibile bisogno di levarsi
puntando in alto e distaccandosi
dal suolo per riprendere possesso
di qualcosa che le sia stato tolto,
magari come ipotesi di un suo diritto
colto in potenza, o che si aspetti
di averlo quasi promessa o come...
parte nobile della sua essenza stessa.
OGNI MINIMA CREATURA
Ogni minima singola creatura
bella o brutta, luminosa o
impura, ciascuna con il suo carico
avuto in sorte, e nel prodursi
vistoso di vita con la morte
tutto così labile e tutto, insieme,
tanto più nobile e grandioso
e nello stato di fatto manifesto
del perenne inevitabile contrasto
tutto così piccolo e tutto così vasto:
lo sguardo abbagliato del bianco sotto al nero,
incerto e scivoloso, nella luce oscura
dell’aperto insondabile mistero.
LO SGUARDO UMANO
Lo sguardo umano
di sua natura impuro e innaturale,
per quanto corra basso rasoterra
dal qui e adesso si fa subito distante
si leva e sale, rimbalzando spande
con il riflesso obliquo della luce,
niente lo ferma o chiude col suo schermo
né il buio pesto riesce a farlo spento,
resiste alimentandosi di niente
da quel che nel profondo oscuro
emerge, e sente di essere straniero…
l’altrove, il cielo… il trascendente.
LA GIOIA E IL LUTTO
L’accendersi e lo spegnersi
(per caso?) della vita,
la traccia luminosa e la scia
che lascia dietro a sé
quello che è stato,
amato o non amato
comunque sconosciuto,
la gioia e il lutto:
precipitato, tutto, nell’imbuto
nel cieco vaso che posa
tra le braccia del suo buio.
L’orma appassita eppure,
nel contempo, rifiorita di ogni cosa.
L’ombra e l’odore,
neppure più il colore,
il pensiero pensato della rosa.
LE COSE
Le persone muoiono e restano le cose
solide e impassibili nelle loro pose
nel loro ingombro stabile che pare
non soffrire affatto contrazione dentro casa
perché nell’occuparlo non cedono lo spazio
vaganti come mine, ma nel lungo andare
il tempo le consuma senza strazio
solo che necessita di molto per disfarle
e farne pezzi e polvere, alla fine.
IL TATTO DELLE COSE
Anche se invece poi per tutti
agisce l’istinto più profano
famelico, oscuro e materiale
di toccare le cose con la propria mano,
finisce che non basta mai alla testa
e lei insegua sempre con i sensi
la conquista di un fantasma
– desiderio, smania o fissazione –
pronto a sfuggire sempre
a gusto e a vista, a udito e a olfatto…
oltre che alla presa dell’imperioso tatto.
COSA FANNO LE COSE
Ma cosa fanno le cose quando
sfuggono di vista al controllo
che su di loro esercitiamo?
Gravano frattanto su se stesse
in attesa di essere di nuovo sollevate
o restano contratte in vigile difesa?
Aspettano giorni inchiodate nel silenzio
che torni ad animarle un po’ la nostra presa?
O basta che solo le pensiamo
e di per sé succede che il pensiero
nominandole faccia da tiranno
ad annullare la loro libertà?
MASCHILE E FEMMINILE
Non c’è parola che possa dire
per due persone di genere diverso
la stessa cosa al non reciproco sentire,
meno che mai se in relazione al corpo:
voce già impressa nominandola incarnata
mentre esce spinta fuori dal soffio della gola
e, incarnandola nel sogno, dal desiderio
intanto delirata in due disegni e modi
alieni per usi e per mestieri, per forma
e per sostanza, per DNA e per stile
tra gli stranieri opposti maschile e femminile.
LA PAROLA
*
Emerge su dal fondo, esonda la parola
lingua di fuoco a rompere il silenzio
e pronunciare netto al mondo
ciò che aspetta ancora nell’assenza,
ciò che fluttua nell’andare più indistinto
ancora lì senza la forma né i contorni
e che di colpo cessa di essere in procinto
e si fa vivo da incolore, si assume e circoscrive
dentro il magico reticolo del nome
come contenuto del suo contenitore.
*
Ha filamenti lunghi la parola,
radiche chiare e barbe nere
che pescano nell’utero del tempo
tra le melme di quel limo viscerale
che ha dato soffio e corpo musicale
alle cose ancora sconosciute
richiamandole come fuori da se stesse
dentro il ritmo franto cadenzato
di quel tutto tuttità che è strabordante
fuoco liquido eruttato dentro ognuna
riplasmata e singola entità.
(da Le cose del mondo, Mondadori, 2020)