Nina Nasilli (Rovigo, 1968) vive e lavora a Padova, dove si è laureata in Lettere classiche e ha avviato il laboratorio-studio “Atelier Interno 7”. È stato per lei determinante l’incontro intellettuale con Ottiero Ottieri, figura letteraria tra le piú significative del Novecento. Nell’idea del “doppio” c’è il senso del lavoro di Nina Nasilli: la sua stessa forma espressiva è un duplice segno, quello della scrittura in versi e quello grafico-pittorico. Nella veste di pittrice, Nasilli ha tenuto importanti mostre in Italia e all’estero, tra cui le personali piú recenti 2NEST, alla Galleria Civica di Padova, nel 2013, e Vólti lacerti, a Lugano, nel 2017. Dirige per Book Editore la Collana d’arte “parolatracciaparola” e la Collana “foglie e radici - Biblioteca del vernacolo”.
Ha al suo attivo diverse pubblicazioni, dalle raffinate edizioni del “Pulcinoelefante” a libri d’arte, come So che sei bella, anima mia! (Il Prato, 2008) e Uovo nudo (Book Editore, 2013), e cartelle d’arte, come Il cielo oggi non sta in piedi (Stamperia d’Arte Barbato, Venezia, 2014). Tra i suoi libri di poesia: Imperfezioni moleste. E oltre (Il Prato, 2008) e, con M. Gadenz e P. Garofalo, Oasi criptate (Edizioni Il Foglio, 2012); per i tipi di Book Editore: TRA.DIS.CO trame di disprezzo coerente e licantropo (2010), Parabola d’amore - Pensando a Marina C. e Rainer Maria R. nell’anno del fato 1926, racconto in versi per il teatro (2012), al buio dei nodi anfratti (2016, Premio Internazionale di Poesia “Città di Marineo”), Tàsighe! in dialetto veneto, polesano-pavano (2017, seconda edizione 2018, Premio speciale del pubblico “Premio Pontedilegno”, finalista al “Premio di Poesia San Vito in Tagliamento” 2018-19). Ha curato, tradotto dal latino e illustrato con 50 disegni originali, il volume Dittochaeon (Doppio Nutrimento) di Aurelio Clemente Prudenzio (Biblioteca della Fondazione “P. Giuffrè”, Book Editore 2018). Nel 2019 è uscito per Book Editore il volume di poesia Prossimità, contenente anche il monologo per il teatro Testamentum in procinctu.
commista a rena grossa e sale
conferva
spinta per caso su una riva lagunare da una chiatta fluviale
sembra la viscera che non si può toccare
ma solo - un poco - immaginare
e tra i fili lucidi d’argento e vescica
e i viscidi scompigli
della sua indicibile provenienza
respira quasi morto
il corpo molle di un granchio nudo:
spoglio di ciò che lo fa forte
l’innamorato sincero
da TRA-DIS-CO trame di disprezzo coerente e licantropo
(Book Editore, 2010)
il cielo oggi non sta in piedi
e tu provi ad ingannare
la rupe capovolta che ti insegue
scartando di corsa
il passo
su un piano che non inclina
non è dietro il baratro
ma alto
l’asino che mola
intorno la pietra
scava un solco
di terra battuta
(e qui, e in ogni limitar di Portogallo):
c’è spessore nell’uso
e morale
è spinta alle stelle
in proporzione perfetta
a quel grado
d’humiltà che piega
piega il ginocchio
profumato d’erba e fieno
o calice amaro
da al buio dei nodi anfratti (con una nota di Alberto Bertoni)
(Book Editore, 2016)
gracchiano
gracchiano i tetti
e voi vi preparate ad esser detti reietti
(ce n’è un popolo intero)
che cercate il coraggio dell’altra mano
(ma a due a due sarete, mano nella mano
perpetui sarete: i passi non incerti)
mentre vi abitate lucido l’errore e trasparente:
triste
e lo guardate in faccia
dall’alto
pestando i campi
e gli asfalti
nella disumana / troppo umana transumanza da un ponte
all’altro con la verità
nuda che solo gli oracoli maledetti sanno predire
nei giorni di calma apparente
e intanto misurate
come si fa se si cammina
in cerchio
tutti i peccati (che vi conobbero)
contando i mozziconi spenti
lí - ad ingrigire con la sabbia
che vela il porfido
(ogni cubo e le lime
tra un cubo e l’altro)
e ogni ciottolo sporto
migrando - loro
le cicche sporche di saliva e rossetto - fin dalle spiagge
per fare un dispetto
e costellarsi
intorno: impedirvi
vorrebbero
di coricare le ossa dando alla nausea un’altra coerenza
sotto il Pont Mirabeau dove ora sapete come si fa
a dormire come Balthazar
e anche ad occhi bene aperti
e poi tre giorni appoggiati
in reverenza al numero sacro ma senza attese
e resurrezioni
(senza aspettare niente)
una costola alla volta
ferro contro ferro
al London Bridge prima che per tre volte tradisca
cadendo tre volte l’intera umanità
(c’è un corvo:
il latte ce lo metti tu
e poi insieme aspettiamo
profondamente inchinati noi/voi
sulle sponde lisce che mostra chi ha cercato quello perduto)
ancora tempo
ne manca sempre poco o troppo
al verdetto
voi/noi
avvinghiati al ceco nuvoloso
intorno al massiccio del Ponte Carlo
antico
(forse sono cornacchie
gli muove quel disordine nero sulle ali
la voce)
e poi chiedete asilo
per i cani che non avete e neanche vorreste
ma siete
mai tanto come adesso siete
e forse un po’ di pane secco sul Pont Saint-Michel
che ha già dimenticato il camice ben stirato
che vi faceva passare
panacea biancazzurra smagliante
invece vi mangiate il dolore alla gola
come un dolce fatto in casa
non credete
- ascoltate i poeti! -
che cosí qualcosa purgate
anche se lo sussurra un angelo tanto bello che pare dipinto
(è per pietà, solo pietà)
lui solo, l’animamia di qualche fedele ignoto
milite d’amor profano
perché non si sconta niente
neanche la memoria di un bacio romantico
prolungato su un ponte di ferro
vecchio davanti a Parigi, petit ...
niente si scorpora dal corpo
e se l’anima vola
vola: in alto
ma se una carta può trattenere i segni
cosa farà la carne con gli amplessi?
tutte le tracce
tutte le impronte sovrapposte
chi le distinguerà? chi ne rivedrà le nuances
a chi un odore parlerà la lingua
incoronata di una madeleine?
il grigio-bruno
se copre può essere anche malo
lo sono i fiumi sotto i ponti
tentatori di perpetuo e sera
con quel loro scorrere nudo che dai ponti lo vedi
ma sotto i ponti piú da vicino
lo vedi
in quel punto del segreto che ti parla:
essere disadorni avvicina all’eterno
da al buio dei nodi anfratti (con una nota di Alberto Bertoni)
(Book Editore, 2016)
com’è lucida e prona la sfericità argento del mercurio:
il passatempo, dopo la finestra, vi accarezzava sulla curva
la noia febbrile che ci riguardava
tra un velo sottile, troppo, di cioccolato
sul pane comune e la furia attesa di un cavallo nerissimo
e buono, amico generoso e puntuale (muto)
- piú tardi il profumo caldo di una minestra di dado
tutto il postumo a quei pomeriggi che si trascinavano i piedi
come panni sulla cera
era già dentro le ore. dentro:
ma avevamo bisogno d’intere pianure di silenzio
prima d’imbatterci nelle ombre odorose degli oleandri
(e le foglie, che non si potevano masticare)
non potremo negare mai forza alla concordia
se la conosceremo
ma non la conosceremo
il nostro eterno non ci ascolta
siamo salici. salici
e tutti i nostri paesaggi, come quelli di Cézanne, siano
coscienti dei loro toni. padronanza conscia non esclude
alle forme universali il guardo affascinato di chi osserva:
lo attira. lo impone. lo esercita
alla restituzione trepidante del gesto. che è azione. presente
cosí il mistero del fóro è posto dalla pietra
che ne contiene la forma. la pietra
che il fóro in-forma. ma è chi guarda che il mistero designa
e lo traduce. dal naturale di Natura
al naturale d’Arte. o mestiere umano
poi, se possibile, il pensiero si faccia sonoro
da al buio dei nodi anfratti (con una nota di Alberto Bertoni)
(Book Editore, 2016)
(lontano, un balzo di balena al largo
nessuno lo sa, resta morto
anche il mare
ma, se lo dici, anche piano, io lo vedo
o lo posso sognare)
dell’imbarcazione che solca le onde
intuire la forma
per la luce che la riluce e la splende
e un baluginio qua e là ne tocca
qualche dettaglio
un rostro, un paranco, una cromatura
che assapora il moderno
o del legno di miele o rosso
una lucida levigatura
una modanatura
ma senza esperienza alcuna
della barca, che non esiste
eppure è viva sul mare che sta arando
con la sua schiuma l’onda che incontra
e il ritorno dell’onda se non deborda
e ha premura di porto, perché lo sa
come Ulisse lo sa
che senza approdo non si riparte
e riposa il navigante
sfama la sua parte sociale
in un illuso istante amicale
che si aggruma attorno al brodo
col pane
ma è solitario ogni viandante
(lo è il poeta in scrittura
che non si ferma: o si perde
tra i rumori rumorosi degli altri
i baccani
i pettegolezzi
i rovi dell’inutilità quotidiana
questa agitata vanità, con le spine)
tra le mani la penna, il timone
l’impronta accaldata della pelle
di chi ieri ti dormiva accanto
da Prossimità (Book Editore, 2019)
el sóe se scursa
e’l se slonga
come che’l ghe piase
ma noàltri come xè che fémo
a starghe drio?
dime ti ...
sémo senpre drio córare
e biastemàre’l tenpo:
se invése eo vardàsimo drito
in t’el muso
no te pare che anca lù
el scominsiarìa a vardàrne
e a portàr rispèto?
da Tàsighe! (Taci, dài!) - poesia in dialetto veneto, polesano-pavano con una nota di Francesco Piga (Book Editore, 2017)
il sole si accorcia
il sole si accorcia / e si allunga / come gli piace // ma noi come facciamo / a stargli dietro? / dimmi tu ... / stiamo sempre correndo / e bestemmiando contro il tempo: / se invece lo guardassimo dritto / nel muso / non ti pare che anche lui / comincerebbe a guardarci / e a portare rispetto?
ghe xè na ànara drio coàre
dedrìo dee rose
ga da èsarghe un putìn che pianže
visìn al casón
e mi dèso vorìa un cusìn de buro
e graspi de ua
sóto ea testa
par scoltàr mèjo cosa ch’i se dise
l’erba e’l fagiàn
có ch’i parla stréto tra de lori
e i se varda in t’j oci
tra na pièra e st’altra
visìn al fòso
’ndóe che’e sguse de pómo e žoga
coi tochéti de narànsa
mèži marsi
prima da darghe da magnàre ai sórži
dime n’altra volta che te me vòi bèn
stéa del mé cuore
che senò me par da morire
da Tàsighe! (Taci, dài) - poesia in dialetto veneto, polesano-pavano - con un nota di Francesco Piga (Book Editore, 2017)
c’è un’anatra che sta covando
c’è un’anatra che sta covando / dietro le rose / dev’esserci un bambino che piange / vicino al casone // e io adesso vorrei un cuscino di burro / e grappoli d’uva / sotto la testa / per ascoltare meglio cosa si dicono / l’erba e il fagiano / quando si parlano da vicino tra di loro / e si guardano negli occhi / tra una pietra e l’altra / vicino al fosso / dove le bucce di mela giocano / con i pezzetti di arancia / mezzi marci / prima di dar da mangiare ai topi // dimmi un’altra volta che mi vuoi bene / stella del mio cuore / che altrimenti mi pare di morire
tasàndo tasàndo ...
eo diséva mé nona
e noàltri eo capìvino
che no’l xèra ea stesa roba
del tàsare taséndo
che queo’l xèra par tuti
e tuti i dì
no ... tasàndo xèra par dirne de un tasére
che vién prima d’un miracolo
col déo schisà sua boca a far na cróse
un tasére che no’l xè solo dei làvari
ma un tàsare dea pansa, dej oci
e dee man:
par far parlare e vìsare có chea pansa
ch’j oci e chee man
par calcòsa che riva piàn pianéto
ma no te te pòi scóndare
o scanpàre:
e el xè bèo ma’l fa anca un fià de paura ...
come s’ea fuse na lengua nova
ca ghe toca solo ae dòne e aj òmani
inamorà
da Tàsighe! (Tàci, dai!) - poesia in dialetto veneto, polesano-pavano - con una nota di Francesco Piga (Book Editore, 2017)
tasàndo tasàndo ...
“tasàndo tasàndo” [“tacendo tacendo”] ... / lo diceva mia nonna / e noi lo capivamo / che non era la stessa cosa / del tacere tacendo / che quello era per tutti / e tutti i giorni / no ... “ta?àndo” era per dirci di un tacere / che vien prima di un miracolo / col dito schiacciato sulla bocca a fare una croce / un tacere che non è solo delle labbra / ma un tacere della pancia, degli occhi / e delle mani: / per far parlare le viscere con quella pancia / quegli occhi e quelle mani // per qualcosa che arriva pian pianino / ma non puoi nasconderti / o scappare: / ed è bello ma fa anche un po’ di paura ... / come se fosse una lingua nuova / che tocca solo alle donne e agli uomini / innamorati
chea sécia roversà
par tèra
in cortìe
ch’ea faséva tuto chel bacàn
se te ghe ’ndavi incòste ...
el metàlo el gavéva chel bižo
sensa vita
ch’el ciapa vita
dai sentimenti de chi ch’eo varda ...
ah! chea sécia
che na volta ea xèra un tanburo
na volta l’elméto d’un soldà
na volta ea xèra bòna
na volta ea xèra catìva
ch’ea xèra senpre in mèžo ai piè
e anca tó mare ...
ghe xè na ora del giorno
d’inverno
che se te te méti a pensare
a chea sécia roversà
e al cortìe de tó žio
e a chea caséta
’ndóe ca te podévi entrare
solo in cusìna
parché’l resto no xèra stà scaldà
e pò de sóra ghe xèra e càmare da lèto
e no se ga da vardàre
’ndóe che cheàltri i se cóa i só segreti
e cusì j e lasàva al scuro
e se ti te ’ndavi de sóra de scondón
o se te disévi ca te gavévi da ’ndare al gabinéto
e te provavi a vardàr drento na càmara
no te vedevi gninte
ma chel gninte
el te se ingrumàva tuto
in t’ea pansa ...
eh ... ghe xè na ora del giorno
d’inverno
che se te ghe pensi
te vorési solo
che dó brasi inamorà
i te struchése forte
e par quei savére
ca no te sì drio morire
da Tàsighe! (Tàci, dai!) - poesia in dialetto veneto, polesano-pavano - con una nota di Francesco Piga (Book Editore, 2017)
il secchio rovesciato
quel secchio rovesciato / per terra / in cortile / che faceva tutto quel baccano / se gli andavi addosso ... / il metallo aveva quel grigio / senza vita / che prende vita / dai sentimenti di chi lo guarda ... / ah! quel secchio / che una volta era un tamburo / una volta l’elmetto di un soldato / una volta era buono / una volta era cattivo / che era sempre in mezzo ai piedi / e anche tua madre ... // c’è un’ora del giorno / d’inverno / che se ti metti a pensare / a quel secchio rovesciato / e al cortile di tuo zio / e a quella casetta / dove potevi entrare / soltanto in cucina / perché il resto non era stato scaldato / e poi di sopra c’erano le camere da letto / e non si deve guardare / dove gli altri si covano i loro segreti / e così le lasciavano al buio / e se tu andavi sopra di nascosto / o se dicevi che dovevi andare al gabinetto / e provavi a guardare dentro una camera / non vedevi niente / ma quel niente / ti si annodava tutto / nella pancia ... // eh ... c’è un’ora del giorno / d’inverno / che se ci pensi / vorresti solo / che due braccia innamorate / ti stringessero forte // e per quelle sapere / che non stai morendo
se i forestieri i xè “piovesti”
ti, in t’el mé cuore, te xèri nevegà:
parché ea piova capita ch’ea capita
ma ea neve manco (ea capita, sì
ma manco)
- e po’ ea xè bianca
(inedita)
forestieri
se i forestieri sono “piovuti” / tu, nel mio cuore, eri nevicato: / perché la pioggia capita che capiti / ma la neve meno (capita, sí / ma meno) / e poi lei è bianca