Matteo Bianchi

foto di Daniele Ferroni

Matteo Bianchi (Ferrara, 1987) si è specializzato in Filologia moderna a Ca’ Foscari sull’opera di Corrado Govoni, curando poi l’Annuario govoniano di critica e luoghi letterari (La Vita Felice, 2020) e Il lascito lirico di Corrado Govoni (Mimesis, 2023). E' libraio e giornalista. Scrive per “Left”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Foglio” e "Globalist.it", è redattore di "Pordenoneleggepoesia.it" e dirige il semestrale “Laboratori critici” di Samuele Editore.
Ha pubblicato le raccolte Fischi di merlo (Premio Turoldo, Edizioni del Leone 2011), L’amore è qualcos’altro (Empirìa, 2013), La metà del letto (Premio Metauro, Barbera 2015) e Fortissimo (Premio Maconi Giovani, Minerva 2019). Suoi versi sono apparsi in diverse antologie, così nel "Quadernario" (a cura di M. Cucchi, Lietocolle 2016), e in rivista su “Nuovi Argomenti”, “l’immaginazione”, “Cenobio”, “Gradiva”, “Función Lenguaje”, “Bloc notes” e su "Leparoleelecose.it".

 

Non c’è sollievo, Silvia,
a questa nostra fine.

Entrambi saremo
almeno tutt’uno
con i nostri
disincantati
secondi fini.

 

*

 

Finirai un giorno
pure tu, nuvolosa,
dall’altre parte dello specchio,
quella ombrosa.
Quella stretta senza il retro.
Cercando l’ego di continuo.
Io, invece, sarò di là,
o di qua.
Tirerò il fiato
in quella ariosa.
Sollevato
senza riflesso
libero da me stesso.

 

da Fischi di merlo (Edizioni del Leone, 2011)

 

Magra stagione.

La data del nostro amore
in tavola
sull’etichetta
di un vasetto rosso.

Quel giorno eterno
c’era già chi
pensava all’inverno:
pomodori secchi.

 

*

 

Tu di riserve ed io di resti.

«Le briciole non sono per me.
Ho una dignità».
Mi gridavi dentro.

Cos’è infine un verso,
se non un resto amato troppo
e raccolto ai limiti dell’io?

Sfilavo la camicia dal risvolto,
le maniche stropicciate di ieri.

Dopo la sottrazione
dirai di amare il tuo dolore.

Cumuli di foglie morte.

 

da L'amore è qualcos'altro (Empirìa, 2013)

 

«Non spegnerla nel vaso,
le avveleni»
– mi riprendevi materna –
«si potano i rosai
per impedire che, marcendo,
i rami secchi mandino in cancrena
l’interno indifeso e le rose
non sboccino più».
Quante ore del tuo tempo
nell’attesa che qualcuno ritornasse,
disperse oltre i campi, nel paese,
nella corte intorno alle case basse
annaffiavi le piante.

Alla fermata del vapore
ripensavo a te da lontano:
non c’erano i minuti
per finire le sigarette
che accendevo, fumavo
male, fumavo a mezzo.
Tu eri tra quelle, soffocata
dal vizio di durare
per i tuoi cari.

 

*

 

L’ombra del patio

Oggi tu risorgi
ed io mi sento morto.

Non c’era legge che mi avesse impedito
di ucciderti,
soltanto una serie di conseguenze
e lo strascico del rimorso.

 

Ponzio Pilato,
Santa Pasqua, 7 aprile 2012

 

*

 

Giulio Cesare

 

«Bada, Bruto, ti dico a oltranza

che la speranza è ancora quella
che diventino amici miei,
loro la?, attorno al foro,
ma temo mi toccherà, infine,
pugnalarli alle spalle.
Non fraintendermi,
non si tratta di do ut des,
mi vorrei semplicemente fidare».

Lo diceva al figliastro, pero?,
con le labbra farsi gelo.
Allora si stringeva nel mantello
e si lamentava di continuo dei calzari
legnosi, gli facevano male:
non riusciva a stare seduto,
camminava avanti indietro
sempre in piedi.

 

da La metà del letto (Barbera, 2015)

 

Finalmente vi ho fregati. Ho compreso che dopo il segmento – la retta, se vi fa stare meglio – ha senso solo la circonferenza; ho sentito sotto i piedi che la terra è tonda e gira su se stessa come me, a differenza vostra che dentro credete sia piatta. Dopo la prima non ci potrà essere la seconda, la terza e via dicendo, ma soltanto l’unica che chiude il cerchio.

 

*

 

C’era quello in sala che, pur vincendo il nero da non si sa quanto, scommetteva sempre e comunque sul rosso. La questione? Si diceva fosse un vizio di famiglia, alla pari di chi insegue le volpi nella neve, credendo siano addomesticabili come i cani e imparino a tornare, ad avere un tetto, o chi si perde in un bicchiere di scotch lasciato da una lei, ma con ghiaccio. Non si poteva sapere che rapporto avesse con il colore del fuoco e il calore del sangue; però c’era anche chi azzardava fosse per una sorta di sentimento, la ciliegia sul fondo di un Martini “perfetto”. Un sentimento a più non posso, senza limiti di tempo né risparmio di calorie. Rideva, poi puntava: «Oggi tutto sull’amore» e l’indomani ci riusciva ancora – proprio così – riusciva a raddoppiare.

 

*

 

Ho acceso il mio fuoco dal tuo,
dando una speranza in pasto al buio,
nella distanza che ci salva
e ci separa l’uno dalla fiamma dell’altro.
Se il tuo era per lui,
il fianco condiviso,
il pieno che si è fatto vuoto sconosciuto,
il mio è stato per quello che rimane
in vita, il frammento che porta dentro
l’intero.
Nel fumo dei nostri incendi, vedrai,
ci toccheremo.

 

da Fortissimo (Minerva, 2019)