Luigi La Vecchia è nato nel 1956 a Modena, ove ha completato i propri studi, prima il liceo classico e quindi l’università. Da oltre vent’ anni vive a Vicenza. Pur coltivando da tempo l’interesse alla scrittura e alla poesia in particolare, solo recentemente ha dedicato maggiori risorse a questa attività, portando a termine a partire dal 2013 le seguenti pubblicazioni: (s)vagare altrove (ed. L’arcolaio); venti (e)venti inclusa nella antologia Retrobottega 3 (ed. Lucini) e Sit tibi terra levis (Ed. Lietocolle; collana Aretusa).
Della provenza non hai
il termometro piatto le bave
taurine il sigillo scolpito
nei ruderi. Ti domina lo sguardo
sullo stagno pauroso dove
le nutrie annegano ubriache
e le carezze con rami di betulla
che imparasti altrove.
Ai baci di anice preferisci
fiori ritagliati per il caleidoscopio
e setole vibranti
di cavalli anemici.
Non ami abbastanza il tuo papa
provvisorio
il tuo ponte incompiuto
il bombardamento floreale
della tomba petrosa dove giungo.
guardando il mare da Les Baux
Dove dormono i venditori ambulanti
dove si colmano di ovatta le fiammelle dei
loro giochi e le lane ruvide
i gufi intagliati le sirene d’oltreoceano
e gli spaghi?
In roccaforti mobili o castelli di sale o
nell’angoscia di una periferia a tua scelta.
La notte, le mogli accudiscono un
esule dormiente che non ricorda pace e
strada di mattoni e non conosce come me
un’anima a chilometri zero.
Dopo il mercato del giovedì, a Vicenza
È il tuo giorno sgangherato
rattoppi i passi tra
foglie morte scampate al mensile
del netturbino
acciuffi le ciglia del tuo amore
come un passaggio a livello
che si chiude al
rapido del suo no.
La serata si infila sotto
il reticolato vestita di una tristezza
mimetica che ti sorprende
ancora con gli occhiali da sole.
Guardi se il tuo artiglio
sarà mai carezza o flauto
e incespicando mi saluti.
Sei ciò che sono. E’ un giorno
sincopale che non voleva
essere salvato.
La strada della maldicenza
ci ha incrociati.
Incontro per strada con un clochard
nutre
cataste di nuvole
ferite, spigoli paralleli
a grondaie vuote
e fregi in calce bianca
senza memoria.
L’inaccessibile ha
un tonfo sordo tra aiuole
rase e manifesti ributtati
su colla densa.
Ora, la giostra del ritorno
quotidiano
raccatta comparse.
Le bottiglie del sabato
rimaste chine sul lato
orizzontale, esauste.
Ne è fuggita da dentro
la nave che porterà
te e me fuori
dall’abitacolo grigio
del non sapere.
Biennale di Venezia, padiglione Danimarca, filmato
Inciampavo sui legni del molo
sconnessi
che non conoscevano spuma
di mare da fine febbraio.
Il vento era solido all’imbarcadero
e metallico il suo riflesso.
Ovunque nel mondo c’è un vecchio che
dona frammenti di pane
agli uccelli – pensavo. E questi
ne frantumano
le croste senza domande.
Qui un cinese con un largo
cappuccio fa la spola
col pane ancora bianco. Ha rifornito
il pontile di briciole con
gesti danzanti.
I gabbiani a famiglie ballano
invadenti oppure solitari ritrosi
indietreggiano ciascuno
secondo la propria natura.
I primi saranno presto nutriti
gli altri interrogheranno forse
sul mare o altrove la propria
fame insaziata ma per loro
la colpa resterà mistero.
Pier 39 San Francisco
Invecchi con la costanza
di un metronomo che
scandisce versi
libero dalle manette del tempo
Ci sono pagine che
ti leggono le rughe
mentre le dipani.
Le carte della briscola sullo scaffale
- pellicole grottesche
a dividere la questione
tra acqua e terra.
Le rintraccia la tua mano
se vuole cercare, guidata
dalla bugia della memoria.
La pesca dell’asso pigliatutto
capiterà pure un giorno
a te o a me o al
ragioniere della scala B.
a Paolo Lanaro
Le cose andavano bene
giù per le cantine in penombra
dove conservavi il nostro vino
migliore mai bevuto
Che ti sorprendeva di più
- l’essere ragazzi maneschi a volte
e perdere la dose di sonno
dovuta alle fatiche
e addolcire la medesima
canzone sul far dell’alba -
tutte cose antiche è vero
ma c’erano sempre con noi
le fiammelle e il pane
a prendersi un sudore
esplosivo
un fare conteso
una colla d’amore.
Sei nel ricordo
Nello spiazzo della malga
disabitata a fine autunno
guardi nel vuoto di un prato
umido sognando
il ghiacciaio. La criniera
è legata ma il laccio non sa
di catena. Aspetti
che il fertile odore
delle poesie pascoli
un quadrifoglio e intanto la luce
si abbatte silenziosa
nel tramonto. Il cuore
è chiuso da uno steccato
che cede talvolta alla nenia
di un canto barbaro. Ma lo scrigno
è troppo freddo, la candela
sola non riesce; con l’alito
caldo di un verso
la devi tenere in vita.
a Stefano Guglielmin
Oggi è tornato il buio
solare, lucido di cobalto,
a spianare le rughe
dell’autunno, con il passo
supponente di una tigre
sazia. Fa giustizia di stelle
e di eumenidi e riversa
nel boccale della notte
la spuma di un oceano
non solcato.
Riprende l’ora solare
Sbuccia il buio della tana
con il becco indaffarato
nel canto l’usignolo femmina
che a volte tra gli orsi
grida e vola
Orme appuntite ali
tenere
Il passo del letargo
non sconfina
dove l’occhio
curioso dell’usignolo
femmina cerca
il granello caduto.
a Valentina Z.