Ilaria Pacelli

Ilaria Pacelli (Piedimonte Matese, 1976) si laurea in Lettere Classiche con una tesi sulla mitologia greca. Trasferita in Friuli insegna materie letterarie nella scuola secondaria superiore, dove si occupa anche di teatro.

Nel 2008 ha pubblicato la raccolta poetica Rose per mani per Campanotto editore, nel 2020 è uscito L’alfabeto del buio per l’editore LietoColle con le immagini fotografiche di Danilo Massi. Dal 2011 è componente di Pordenone Poesia Community.


La voce

 

Mia madre non parla più.
Le corde vocali non sostengono la voce.
Di tanti, un tempo vicini, non si sente più la voce
e questo, in fondo, è parte della nostra felicità.

Perché stride quando arriva diretta, la preferisco
portata dal polline, dal vento, dal vapore.
Arriva lieve come una tortora, si posa
sulla spalla, sussurra un nome, torna al cielo.

Promette che è vero ciò che accenna
aggiunge un indizio, un segno di penna
a questo giorno che impara ad andare
oltre la sera.

Sul cellulare leggo “Madre massacrata dall’ex davanti
al figlio di cinque anni.” “Ti può interessare?”.
Arriva sinistro come un corvo
si posa sulla spalla, emette un verso, torna alla terra.

Decreta che è vero ciò che esibisce.
Ma io credo solo nel silenzio di quello
che muore, e fingo per me un fiore reciso,
rosso, sul comodino.

 

da L'alfabeto del buio (LietoColle 2020)

Visita a mia madre

 

Sono svoltata nella bocca del corridoio
che inghiotte pillole siringhe ricordi
per rigurgitarli in cunicoli
che portano al buio.

È troppo tardi per aprire la finestra
per portarti un pezzo di cielo blu.
Così posso entrare nella penombra
dove è maggiore, adesso, il sollievo.

A quest’ora le urla non assordano,
i fiati sono più leggeri, il tarlo dell’errore
non ha luce a sufficienza
per proiettare il suo doppio.

Forse non sai, non ricordi, non colleghi…
Uno scatto improvviso: “Ti stavo sognando”,
mi dici. E io sono qui, nel tuo sonno
-- ora so -- chiamata da un sogno.

 

da L'alfabeto del buio (LietoColle 2020)

Luna a novembre

 

La tua veste è la distanza
mentre ti guardo ardere di pallore
nel tempo della notte in cui prendi per te
il buio e il silenzio.

Non mi lasciare orfana
dell’ombra scesa sul mondo
quando solo posso parlare agli uccelli notturni
che portano la morte nel petto.

Bambina dagli occhi in ascolto
non dormivo nell’attesa della civetta;
poteva entrare dalla fessura dei vetri.

Se accogliendo un pianto cerco
di tenermi sulle gambe che tremano
è perché ieri ho visto i morti, a volte
gli ho dormito accanto.

Oggi mio figlio non ha più nulla da temere, le finestre
sono bel sigillate, le cantine quasi non esistono più.
Ma se non trova una crepa nella casa ben costruita
da dove entreranno la morte e il suo sogno?

da L'alfabeto del buio (LietoColle 2020)

La casa che dorme

 

Passano senza sosta le nuvole
sulla casa che dorme.
Le spinge un vento, lento
senza odore né rumore.

Portano nel ventre ciò che siamo stati
ciò che siamo ancora nelle nebbie
di certi movimenti. Al mattino si diradano,
ritte le nostre schiene nel giorno.

Quando arriva un odore di erba bagnata
veniamo convocati senza scampo
dove si compì ciò che non può essere evitato
lungo una strada che porta a un pozzo interrato.

Sento ancora le voci è pericoloso, non sporgerti.

Ma quello sfavillio del sole a pelo dell’acqua, casa
e voce per la rana grigioverde
è l’esporsi all’abisso del non conosciuto
è la felicità che ogni tanto riaffiora dal fondo.

 

da L'alfabeto del buio (LietoColle 2020)

Finestra sulla neve

 

Sono stati sorpresi, gli alberi
a inebriarsi di bianco.
Ma in essi c’è sempre un nucleo di buio
circondato da un silenzio di luce.

Io penso a un grumo di felicità
indistruttibile, ineffabile in ciascuno di noi.
Di quando bambino, per la prima volta, gli occhi
gli si sono inondati di neve.

Un principio di smemoratezza.
Una vertigine del tempo.
Fosse stata pure l’alba in un campo tedesco,
un esercizio di gioia per sempre trovato e perso.

 

da L'alfabeto del buio (LietoColle 2020)