Giancarlo Baroni

Giancarlo Baroni è nato a Parma, dove abita, nel 1953. Ha pubblicato due romanzi brevi, qualche racconto, un testo di riflessioni letterarie (“Una incerta beatitudine”) e sei libri di poesia. Le ultime quattro raccolte di versi: “Cambiamenti” (Mobydick, 2001); “I merli del Giardino di san Paolo e altri uccelli” (Mobydick, 2009; nuova edizione illustrata e ampliata, Grafiche STEP, 2016); “Le anime di Marco Polo” (Book, 2015); “I nomi delle cose”, (puntoacapo editrice, 2020).

Ha coordinato, assieme a Luca Ariano, l’antologia “Testimonianze di voci poetiche. 22 poeti a Parma” (puntoacapo, 2018). Nel 2009, 2010 e 2011 ha letto a “Fahrenheit” (Rai Radio 3) diverse sue liriche, alcune in occasione del Festival della Filosofia di Modena. Per quasi vent’anni ha collaborato alla pagina culturale della “Gazzetta di Parma”. Per la rivista on line “Pioggia Obliqua. Scritture d’arte” cura una pagina intitolata “Viaggiando in Italia”; collabora a “Margutte. Non-rivista on line di letteratura e altro”. Poeta per passione e fotografo per diletto, ha pubblicato tre piccoli libri fotografici: “Sguardi dell’arte”, “Bologna” e “Due volti di Parma”; tutti e tre fuori commercio.

 

(Foto di Rita Quarantelli)

Ascolta Eraclito

 

Ascolta Eraclito per cui

l’essenza è divenire

secondo una linea dialettica

che confronta i diversi e li armonizza

solo per poco o in parte

proprio come nell’uomo di Pascal

la nobiltà si intreccia alla miseria.

 

Come la fiamma si trasforma in cenere

così la lava che affiora dall’oceano

raffredda e si fa crosta

scendendo gradualmente nelle fosse.

Tutto si muove e cambia.

Il mondo dilatato a dismisura

distanzia fra di loro le galassie,

ognuna ruota intorno al proprio perno

il sole dentro queste

 

seguito dalla terra. Non si pone il problema

di evolvere o sparire:

la vita non è la somma delle forze

contrastanti la morte. L’una segue all’altra

in più di una occasione. I fossili

incastonati nella roccia garantiscono

le sciagure avvenute,

dopo la strage dei sauri si sviluppa

nei mammiferi mole e cervello.

Quasi le placche avessero un’anima

 

Due placche terrestri si scontrarono

tentando di sopraffarsi.

Dal profondo le spinte richiamavano

 

magma detriti e l’attenzione dei diavoli in attesa

dei dannati promessi. La lava zampillò dalle ferite

quasi le placche possedessero un’anima.

 

Una distrusse i bastioni nemici

infilandosi sotto l’altra come una barra

che solleva uragani e catene alpine.

Le farfalle bianche si chiesero

 

Le farfalle bianche si chiesero

per quale motivo gli uccelli

le stessero sterminando.

 

Diventava il tronco sporcato dallo smog

un candido cimitero.

 

(da “Cambiamenti”)

Sugli alberi

 

La vita sugli alberi non è

quella che immaginate. Spesso vediamo

le foglie dei più giovani

ippocastani del parco

 

diventare secche

senza un motivo; e poi sfaldarsi.

E anche, accovacciati sui tigli

che riempiono la strada

 

di profumi dolciastri,

osserviamo i pidocchi

che succhiano dalle foglie

come vampiri lo zucchero.

 

Sono mali che spingono a pensare

e ci inquietano. Nemmeno le querce

che un tempo rivestivano

enormi la pianura padana

 

ne sono escluse. Nel ramo

reciso delle farnie si insinua una carie

che le corrode. Sorprende

non ci abbia infettati

 

l’epidemia degli olmi

o il cancro dell’inchiostro dei castagni.

Quali uccelli verranno

dopo di noi? e quali piante?

Voci

 

1

 

Qualche volta vi nascondete dietro le nuvole

facendo finta di essere scomparsi.

Allora noi cerchiamo dappertutto

vi preghiamo di tornare

 

inventiamo mille promesse.

Là in alto intanto voi ve la ridete

di noi che gridiamo

che fingiamo di invocarvi come ossessi.

 

2

 

“Ce ne infischiamo della nebbia

che foriamo col becco

oppure graffiamo con le unghie

così da volare dall’altra parte”.

 

Attraverso la nebbia inviate

comunque fino qui le vostre voci

di cui a fatica comprendiamo

la vera provenienza.

Passeri

 

Noi passeri salutiamo

la gravità mentre ascoltiamo

i tonfi delle gazze abbattute

dalla loro ingordigia.

 

(da “I merli del Giardino di san Paolo”)

I ritorni di Ulisse

 

Dicono in coro come

pretendi Ulisse di sfuggire a noi

che accesa la tua inquietudine incendiamo

anche il tuo desiderio, smetti

di fingere re dei mentitori

e abbraccia noi per sempre. Poi quelle

voci sibilanti si propagano

 

fino a raggiungere la stanza che conserva

l’amore coniugale, persecutorie proprio

con me che non lo merito.

Vent’anni ho attraversato nel pericolo, dieci

a combattere lontano per la patria il resto

cercando di raggiungerla. Che altro

di più avrei potuto fare. Purtroppo ora,

 

trascorso un anno dal mio improbabile ritorno

ricongiunto a Penelope la saggia mia regina,

vivo scontento, oppresso da questi suoni che insistenti

imbrogliano i miei pensieri. Io amo

Penelope e più di ogni altra

cosa adoro la mia terra loro

lo negano. Devo essere stanco davvero

 

esausto, se la passione commossa

che provo da lontano verso le cose amate

lascia spazio, avvicinandosi, al sospetto.

Non resta forse allora che scovare

la misteriosa origine di queste

ambigue voci e sottometterle, domani

riparto.

Miraggio

 

Un’altura di sabbia invalicabile

in coro intoniamo una preghiera

e la montagna si srotola

 

davanti ai nostri occhi

feriti dal sole e dalla polvere

si srotola come un tappeto.

Oasi

 

L’aria bollente; il vento

deposita sabbia sulle stuoie

nelle pieghe degli abiti

dentro le narici. Però sotto i piedi custodiamo

 

un tesoro inestimabile:

torrenti segreti sfidano le leggi naturali

superano la fantasia. Nel profondo

al riparo dal sole e dall’arsura

 

un fiume sgorga da epoche distanti. Una volta

il deserto era un lago e i boschi

crescevano rigogliosi sulle coste.

Dai pozzi scavati nella terra

 

da queste bocche di polvere imploriamo

il sottosuolo di mantenersi generoso.

Zampilli e papiri; le chiome dei palmeti

proiettano ombre fresche sopra gli orti.

 

(da “Le anime di Marco Polo”)

Ti osservano:

 

quando meno te lo aspetti

quando vorresti nasconderti

dietro un riparo inesistente

 

quando non te ne importa niente

rannicchiato nell’angolo

in piedi al centro della cella.

Un seme fra le mani

 

Ti seppelliamo con un seme fra le mani

spunta dal suolo germoglia cresce

ti fa ombra d’estate

 

le foglie ti coprono in autunno

lo battezziamo col tuo nome gli parliamo.

Davanti all’Altare di Grunewald

 

(pregano i malati accolti nell’ospedale di Isenheim)

 

Cristo qui sei per noi fratello nel dolore

hai le labbra spalancate ma non riesci

per il tormento a urlare

le spine conficcate nella testa

 

i piedi rattrappiti parlano del tuo strazio

vedi con gli occhi chiusi e sai

il male che proviamo come il tuo

calvario è la nostra vita quotidiana

 

ustiona la pelle il fuoco

della lebbra ferite croste e piaghe

sono uguali alle tue ci specchiamo

nel divino sacrificio che lenisce

le nostre sofferenze.

 

(da “I nomi delle cose”)