Gian Ruggero Manzoni è nato nel 1957 a San Lorenzo di Lugo (RA), dove tuttora risiede. Poeta, narratore, pittore, teorico d’arte, drammaturgo ha soggiornato per lunghi periodi in Belgio, in Francia e in Germania, dove ha frequentato quegli ambienti artistici. Nei primi anni ’80 è stato redattore della rivista “Cervo Volante” di Roma, diretta da Achille Bonito Oliva ed Edoardo Sanguineti. Ha insegnato Storia dell'Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino. Ha curato, assieme a Valerio Magrelli, la Sezione Poesia per “Arte allo Specchio”, Biennale di Venezia 1984. Ha diretto le riviste d’arte e letteratura “Origini” e “ALI”. Sue poesie sono state musicate da Fernando Mencherini, Nicola Franco Ranieri, John de Leo, Stefano Scodanibbio, Salvatore Accardo. Ha al suo attivo oltre 45 pubblicazioni con case editrici come Feltrinelli, Il Saggiatore, Scheiwiller, Sansoni, Diabasis, Moretti & Vitali, Raffaelli, Skirà/Rizzoli, Guaraldi, Matthes & Seitz Verlag (in Germania e per i paesi di lingua tedesca), Emede (in Argentina e per i paesi di lingua spagnola), delle quali 21 in poesie. Alcune sue opere sono state tradotte in Grecia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Irlanda, Argentina, Uruguay, Russia, USA.
Il mio gallo da combattimento
ha già causato la morte di Michail,
di sua moglie Kostantina, del figlio,
del cognato, della nonna materna,
del vicino di casa, del pope, dell’oste
( … di quello grasso, di nome Ivan).
Il mio gallo da combattimento
è rosso e nero, ché di porpora sangue
pare incappucciato.
Forte di sperone, colpisce e falcia
in nome mio.
Egli è l’aquila che non ho mai posseduto,
la tigre che mio zio mi aveva promesso,
l’assassino, che sono stato.
A lui mi rivolgo cantilenando:
“Vivi con dignità, stendi le piume,
innalza la cresta e fuggi ogni genere
di cultura, così colpirai senza remore
quando ne verrà l’occasione.”
Al che mi guarda e becchetta ironico:
“Barbaro sarò per te, come la vendetta
è il compendio dell’ateo
o dell’impotente.”
Poi ride, e m’invita a scommettere.
Per onde viaggia il pilota,
deposto il camice del matto e
del santo.
Drieu La Rochelle e Céline
ne furono innamorati
per ardenti metafore di tubi,
scappamenti, benzina arsa,
olio e polvere, che ne truccavano
i volti da antichi guerrieri.
Carl Von Clausewitz ne trapiantò
il cuore nel petto del suo cavallo
e i Celti, di coloro che andavano
con la velocità del vento,
parlarono come di dèi, Figli
del Mare Meridionale …
del Mediterraneo.
Il superamento della decadenza
e della paura della morte,
con quei significati tragico-grotteschi,
è il compito che il poeta
fin da Eraclito si è dato.
Sono dell’asso Francesco Baracca,
aviatore in cerca di solitari duelli,
fratello di pianura e di città.
Accetto di sfidare la tecnica
come egli combatté su Gorizia,
Nervesa, Cornuda, il Montello.
Degli dèi greci e di quelli germanici,
di Cristo e del Talmud,
si cibano i miei motori.
Di Arthur Moeller Van Den Bruck
ho lasciato, nella mia bianca scia,
il gusto per la conservazione delle
memorie e, così, l’uso del moderno.
Ora la potenza del cosmo
attende coloro che si spesero
al pari mio.
L’uomo che ha agito sente d’istinto
che le distanze celesti sono naturali
così come, innaturale, il negare
le vicinanze terrene.
Le epoche senza una loro arte e
una loro filosofia possono essere
comunque grandiose.
I Romani ce lo insegnano.
Del cosmonauta la ricerca
di un nuovo pianeta incontaminato,
nel quale il tutto andrà a ricominciare,
è divenuta, ormai, idea primaria.
Nell’essenziale di una navicella galattica
si diviene tolleranti e gemelli.
La barbarie lascia il posto
all’assimilare dall’altrui amore,
dall’altrui coraggio e dalla pazienza,
inalati, come ossigeno puro, dalle vene.
In spazi ristretti si giunge all’abbraccio
nel nome di un’idea comune
e di una missione
che, forse, non avrà ritorno.
Presi dall’anarca e dalla libertà
i motori rombano alla luce delle stelle.
Junger, Spengler e Stirner asserirono
che esistono uomini non degni
di un grande dolore
allorquando, dal dolore, puoi trarre
nutrimento per i tuoi roventi pistoni.
La macchina procede e batte all’unisono
il canto dei senza tempo.
Nella storia sono più le sofferenze
che i successi a modellare i caratteri
e le dinamiche ideali.
Disse Wilde: “Scelgo i miei avversari
per la loro intelligenza …”
io da motociclista affermo:
“Scelgo i miei nemici
dal come sanno restare in sella
e dare di sprone.”
alla scrittura
Ti ho incontrata nell’estasi e nel martirio.
Possedevi lunghe radici, un cuore fisso e
immacolato, un tenero profilo, un secco labbro
forte agl’inverni e ai turbamenti.
Affrontavi le pagine con delicatezza - una a una -
sfogliando adagio, e liberandoti al sapere.
A volte parlavi e a volte fremevi:
“Non ho stretto alcun uomo. Poco ho vissuto.
Poco ho amato. Perché, a quell’albero e a quel ramo,
a cui venni inchiodata, le convinzioni e l’imprevisto
mi hanno chiamata, resuscitando le volontà disperse
e le membra allargate.”
Noi in coro ti rispondevamo:
“Nessuno sperimenterà nella vita tutto ciò che gli è stato
destinato. Il dolore ha una tinta secolare, vicino a quel rosso
che investe le tonnare. Negli ultimi anni hai scoperto
le cause, ma la castità impone il respiro e
il compendio delle risultanze.
L’autentica santità consiste nel proteggere gli altri,
nel dare il giusto significato alle armi e nel congiungere
i simboli, in un atto sacrificale.
Quindi non ti resta che pregare, innalzando i tabernacoli,
decorando gli altari, seducendo, con garbo e dignità,
ciò che in te reputi informale, perché
non importa conoscere l’esterno per comprendere
se stessi … il tuo mondo riposa nella vibrazione
di una corda vocale, in un battere di ciglia,
in quel neo, che ingentilisce
il tuo inguine ancestrale.”
Nella prova devi decidere, poi,
all’occorrenza, comportati come il diamante
quando si trova fra l’occhio e l’orizzonte.
Esso riflette il verde, l’azzurro, il rosa,
l’oro, il rosso e il grigio …
qualora il cielo sia verde, azzurro, rosa,
oro, rosso e grigio,
ma, comunque, lui sempre brilla,
anche senza cielo, perché di luce propria
è la sua tempra.
Assimila ciò che vuoi, se ti va trasmettilo,
ma rammenta sempre chi sei,
perché sarà quello
che infine resta.
Seppi chi fossero dal come si adornavano
per tradizione.
Lontani i monti e le chiese del nostro credo.
Vicina la pianura dove pascola
il nostro spirito.
Forse che più si dona
e più diminuiscono le alleanze?
Allora meglio lo scontro
per ritrovarsi fratelli.
Ognuno è un assoluto e, l’assoluto,
è alla stregua di ciò che appelliamo Dio.
Io sono Dio, tu sei Dio, egli è Dio.
Tutti gli uomini si possono definire
Dio, ed essenza mutante
che, nella circolarità dell’evocazione,
si ricorda di sé
per poi perdersi di nuovo
e in altre mutazioni evocarsi nel continuo
di una divinità … e di quella ripetizione.
Si contempla la passione dell’altro
e ciò che conosciamo della nostra
la respiriamo da essa.
Con la ragione diamo un’anima
al mondo veduto
che il mondo poi conserverà
sviluppandola come anima in noi.