Federico Cinti

Federico Cinti (1975) svolge attività di ricerca presso l’Università di Bologna e insegna materie letterarie e latino presso il liceo di Casalecchio di Reno, dove vive. Poeta, scrittore e saggista, spazia dalla letteratura antica e cristiana a quella umanistico-rinascimentale e otto-novecentesca. Tra le pubblicazioni poetiche si segnalano: Spirito in carme e glossa. Epigrammi notabili e notati, Bologna, Bonomo, 2005; Speculum salutis, il Pontevecchio, Cesena 2009; Bestiario. Ritratti veri di persone false, Persiani, Bologna 2013; Vita di San Martino di Tours, Pendragon, Bologna 2016; Piccola guida eccentrica di Bologna, Persiani, Bologna 2019; Piccola guida esotica di Bologna, Persiani, Bologna 2020; Piccola guida estatica di Bologna, Persiani, Bologna, 2022 (in corso di pubblicazione).  Tra le pubblicazioni scientifiche si ricordano: Goffredo Coppola tra filologia e ideologia, Clueb, Bologna 2004; Erasmo da Rotterdam, Il lamento della Pace, Rizzoli, Milano 2005; Saffo, Poesie, Rusconi, Rimini 2017 (in collaborazione con Camillo Neri); G. Pascoli, Myricae, Rusconi, Rimini 2018; Il mio nome era Tempesta. Vita del partigiano e combattente Franco Guazzaloca, Persiani, Bologna 2021.

Un po’ di nebbia

 

Udii un’eco. Tremarono

nell’anima i precordi. A quell’immagine

posò il tempo dimentico,

origine e crepuscolo dell’attimo.

 

Dell’intima vertigine

intravidi il miracolo, indicibile

nenia di luce, limpida

ebrezza oltre ogni ostacolo, ogni limite.

 

Breve brivido, onirico

barlume, malinconica inquietudine

in un fulmineo correre

all’indietro, in avanti, eterno vortice.

Alla mia mamma

 

A maggio ride l’anima. Si librano

libere per l’azzurro aureo le rondini.

Lampi di sogno il sole,

ali d’una vertigine,

 

musica senza età. Nell’incantesimo

ignoto ogni germoglio si rigenera.

Assorto il cuore ascolta

muta la nenia solita.

 

A maggio tutto sa d’eterei palpiti,

malinconie in cui perdersi nell’attimo

mistico di una festa

antica sempre vivida.

Pensiero d’estate

 

Nuota la fantasia. S’agita un frullo

obliquo nel pomario, fresca ondata

verso la libertà. Sogno o trastullo?

Esita nel rispondere, scontata

 

la parola che salva. Era il fanciullo

lieto nella sua età dimenticata,

ombra in cui tutto vive, tutto è nullo.

Brucia d’ardore l’anima assolata.

 

Antico il muro ritornato siepe

laggiù, quaggiù. Forse non era un volo,

dolcissimo sospiro l’aria intorno,

 

occidua vanità di questo giorno.

Naviga il cuore, reliquiario o brolo,

in cui s’insinua un soffio tra le crepe.

Nevicata

 

Grigio il giorno. Per l’aria un tetro gelo.

Inizia a nevicare senza fine.

Non un suono. Su tutto un bianco velo,

equilibrio di mille antiche trine.

 

Vaga un’ombra di pace per il cielo.

Ride il cuore. Sull’ultimo confine

abita una speranza, come in stelo

fiore sbocciato appena tra le spine.

 

Aria di festa. Tutto trascolora

rapido allo spettacolo. La neve

oggi è visione che stupisce ancora.

 

La sospensione scende lieve lieve

fra di noi, ci sostiene, ci rincuora,

in questo tempo che si è fatto breve.

Sulla tomba di Dante

 

Eri lì, a un soffio. L’anima mi tacque,

tenue nel turbamento. Nulla intorno,

solo il cristallo attonito delle acque.

 

Profondai dentro i secoli. Il contorno

una pietra scavata, assorto gelo

di vanità. Impossibile il ritorno.

 

Apparve e sparve nella nebbia un velo

d’inconsistenza, assorta nostalgia

scritta nel cuore, anelito di cielo.

 

Riposava il sospiro. La poesia

risuonava, eco antica, onda di mare

nella conchiglia tremula. Per via

 

il senso del perenne limitare.

su quella soglia meditai. Ti vidi

e non ti vidi più. Dolce sognare

 

quel tempo, quell’età. Pallidi gridi

oltre l’ultimo segno. Un’ombra vana

aleggiava insensibile tra i lidi.

 

L’ora fuggiva. A un tocco di campana

trasalii. Tu eri lì, ermo miraggio

d’inciampo: eri l’immagine lontana

 

dell’incessante fremere del viaggio.

Ero lì, dove adesso è il tuo tesoro

più autentico. Fu un raggio dentro un raggio,

 

fu l’immortale gloria dell’alloro.

Sotto l’agrifoglio

 

Al sole un soffio, tenue meraviglia

nell’onirica nenia di ricordi:

un alito nell’anima bisbiglia.

 

Tra le palpebre l’ansia dei precordi

sussulta: sul silenzio della via

scivola il tempo, antichi sguardi sordi.

 

S’intride in un sospiro la poesia

d’un attimo. Un saluto senza fine,

sospensione d’estatica armonia.

 

Era il naufragio, l’ultimo confine

oltre l’immensità. Toccai l’ebbrezza,

mentre intorno erano ombre di rovine.

 

Riaffiora ora l’oblio d’una dolcezza

d’aspro candore, il lieve smarrimento

in quel guizzo di luce, una carezza.

 

Arzigogoli pallidi di vento

sotto le ciglia, il lume di quel giorno

lieve esalò la gioia del momento.

 

Fummo noi. In questo insolito ritorno

il senso dell’eterno. Un bacio ancora

tra l’oro delle lame tutto intorno.

 

Trascesi e trasalii: mi trascolora

l’insolita vertigine, il tuo volto

nell’autunno indicibile d’allora.

 

A pezzi il cielo, fu così, raccolto

Tra l’agrifoglio il canto del cammino

ci piovve in cuore. Fummo noi. L’ascolto,

 

finché non rifiorisca il biancospino.