Enrico Trebbi

Enrico Trebbi è nato a Modena, dove vive e lavora. Ha pubblicato alcune plaquettes di poesia insieme ad Alberto Bertoni, sue poesie compaiono in diverse antologie e riviste. Sempre insieme ad Alberto Bertoni e al saxofonista Ivan Valentini ha inoltre pubblicato 2  cd di poesie e musica: “La Casa Azzurra” e “Viaggi”. Il suo libro “Un resoconto frammentario” è stato finalista nel 2004 al Concorso Nazionale di Poesia “San Pellegrino”. Svolge una costante attività di lettura in pubblico.

Ancora incertezze di volo


Sugli aeroplanini di carta i voli
sono brevi e rischiosi
non c’è un motore a garantire
il sostegno, occorre istinto
a trovare il refolo giusto
perizia e pazienza a non perdere
il filo di brezza che regge le ali.
Ci vuole una tessitura di gesti,
di riti, d’impegno, la certezza
di pochi solidi simboli, occhi
che guardano lontano.
E basta talvolta il turbine di
pagliuzze perse da un autocarro
a smarrire la rotta, nel volo
sottosopra che scompiglia il percorso.


Per scrivere poesie 
è necessaria passione
per fare un libro di poesie
serve ordine
per volare ci vuole coraggio
e “una celeste leggerezza dell’anima”. 


Modena, 06 giugno 2012

Elogio della penombra


Anche la stagione si schiera contro.
Tutto questo sole invernale
tutto il secco e polveroso colore
la ruggine d’erba e alberi
la luce che già all’alba abbaglia
sarà l’angolazione, il perielio,
sarà soprattutto che da troppo
tempo non piove, sarà che
a questa maniera il mondo
pare immerso in una cecità senza
riparo, senza speranza. Per me
le belle giornate di pioggia 
che tenue picchiettava la tettoia
ai Cagnani, l’aria umida e fresca,
i mezzi toni, le luci smorzate
e materne, erano riposo e 
protezione. Uscivo allora di casa
con la scusa della legna
di una bottiglia di vino e 
mi perdevo per pochi momenti
nei colori dimessi, nella docile
brezza che portava i pensieri
lontano. Oggi chiudo finestre
e persiane e guardo i tuoi occhi
fiorire nella penombra della 
stanza, avvolgermi nel loro fresco
e umido a volte stupore, che
premuroso mi osserva e tiene
i miei pensieri per mano
quando la sera mi porti la pace
che le ore di luce non danno.


Modena, 12 gennaio 2012

I miei genitori


Oggi mi fermo un attimo solo
a salutarvi mentre ritorno
nella calura estiva dell’ora 
prossima al meriggio.
E non è vero del tutto che non ho
bisogno di vedervi, che siete in me
anche quando mi divoro il fegato
in queste giornate vuote in attesa
della sera di piccoli sogni avverati
che addolciscono il cuore. 
Non amo le vostre fotografie
così lontane dal mio ricordo di voi
ma mi consola il posto d’ombra
dal quale mi guardate con il leggero
imbarazzo di chi pare dover giustificare
d’esser qui  ancora insieme, dopo tutti
gli anni in cui ho faticato a sentirvi uniti,
se non per noi figli. In fin dei conti forse
non potevate far altro, dati i tempi
il senso del dovere e delle cose che
vanno come devono andare. Oggi sono
quasi contento di sapervi ancora a parlare
e giocare alle carte verso sera. 
La poca luce ingigantisce i rimpianti e
potrebbe il buio portare i pensieri 
alle scelte che magari avreste voluto 
diverse, o forse solo tu, mamma, che così
spesso ho pensato che non saresti rimasta,
e speravo ci portassi con te. Il tuo sguardo triste
è anche ora la preghiera appena accennata 
“non venire più, Enrico! che hai altro da fare”, 
come quando cercavi di allontanarmi dalla 
tua morte e sapevi che non avrei potuto.


Modena, 17 agosto 2012

Il patrimonio che resta


“Solo questo possiedo adesso” 
disse
“un vuoto abrasivo allo stomaco
un grumo di ruggine e sangue,
solo questo, un’invasione dai muri
di muschi e muffe e scrosci e tremori,
un terrore animale che disgrega le ossa”
disse 
“solo questo, come il mondo fosse
un esercito d’inferociti invasori e io
uno degli ultimi vivi nella cittadella
senza bastioni. Allora sprango porte
e finestre e nutro fitti conciliaboli
nella casa che resta un miracolo difensivo.
Continuare a cercare, lanciare messaggi,
solo questo” disse “solo questo. 
Attendere che qualcuno risponda 
o che un varco si apra, 
ricostruire il villaggio. Solo questo”


26 giugno 2014

L’incertezza del volo


Mi sento, in queste giornate ventose d’aprile,
come fossi in un aeroplanino di carta, lanciato
controcorrente dalla mano di un bimbo che
festante lo guarda ondeggiare, preso
dai vortici e cali di pressione e vuoti dell’aria
e vorrei gridare che sono io, quassù,
abbagliato di luce, senza comandi, a sperare
che le ali siano forti abbastanza e la brezza
sostenga il mio volo, ma ho pur sempre paura:
gli aeroplani di carta, si sa, sono mezzi
poco sicuri, ci vuole coraggio e passione
per salirci sopra e lasciarsi portare. Ci vuole 
fortuna per non impigliarsi tra i rami
e volare il tempo che basta a spendere
la voglia di esplorare, la grazia degli sguardi
sorpresi. A volte vorrei nascondermi dentro
uno stormo e avere altri intorno che, non
soffrendo il mal d’aria, osservano fiduciosi e
sgomenti l’orizzonte che lontano lontano si annera 
ed è una promessa d’imminente burrasca. Meglio 
allora il verde del prato che, prima della pioggia,
accolga la fine del sogno, di questo terrore,
meglio le braccia che mi scaldano a sera, il
dubbio infinito che per un attimo tace.


26 aprile 2012

La nebbia e i ricordi


Dalla finestra non si vede nulla
la nebbia ha mangiato il mondo
e tutto avviene in interno.
Sono i momenti in cui dovrebbe
rallentare il tempo e concedere
il sapore pieno dell’essere 
il sogno ad occhi aperti,  l’oblio 
del presente e del  freddo inverno.


Se ritorno di fretta da un viaggio
mi fermo allora al cimitero
a salutare i miei, nelle foto che
non sopporto e vorrei cambiare, 
negli sguardi tristi e persi che
fanno tenerezza, a ricordare 
il tempo, a rivedere i luoghi,
quando bastava al mio cuore 
mamma a rimagliare calze e maglioni
e l’odore del cibo nella fumosa cucina
il gelo a fiorire sui vetri e il buio
la nebbia vorace fuori a cancellare
la strada e i passanti. La casa la mia
navicella che solca i mari del diventare 
grandi, sicura di basse luci e angoli
le voci delle donne calmano il respiro
e preparano il sonno, io mi abbandono
mi lascio cullare e vado altrove
nei luoghi dove tuttora riparo, inadatto
da sempre. I ricordi che sono materia 
di me, erano allora promessa. Il soffio
leggero del gelo quando papà tornava.


Modena, 12 dicembre 2013

Le prime scoperte


Eppur si vive, a dispetto dei tempi,
alla ricerca di un passato imprendibile
devastato ed arso dal mondo avvenire
quando le scoperte erano sorprendenti,
fondanti e un’emozione vera
non ti avrebbe lasciato più, fosse musica
e il modo diverso che la distingueva
dai canoni appresi, l’odore di pioggia d’estate,
la voglia di sole nei caldi meriggi
liberi da scuola, la lettura dei libri nella prima
brezza autunnale che viene da porte o finestre
e non disturba, la ricerca di anfratti dove
non essere visti, essere fuori stando dentro,
ascoltare le voci dei grandi dal buio,
la materia della nostalgia, insomma, 
quel piccolo privato sentimento 
che resta a ricordare come eravamo
meravigliosamente aperti alle scoperte
e protetti da esse da poterle davvero gustare
e farle diventare  mobilio permanente
del salotto buono, per farci sentire a casa,
per catalogare  in scaffali e mensole e credenze,
già tutti sistemati nelle stanze, ogni altra
novità di luogo avvenimento sensazione e sentimento.
Guardarsi le mani oggi aggrinzite e macchiate per l’età
scrivere che il cuore vede e parla con l’alfabeto di allora.


25 luglio 2014

Per Stefano


Anche la malattia, come la vita, condotta
sempre sul bordo estremo, aggrappato 
ai ciuffi d’erba, alle precarie sporgenze
delle rocce, su quel sentiero senza riparo
che avevi scelto per te, o così mi è parso.
Niente alibi, niente scuse, niente compromessi.
In questo modo non è facile morire e
non è facile vivere. Penso talvolta che,
sfinito, tu ti sia lasciato scivolare oltre
la scarpata del dubbio, smarrita la 
dura serietà luterana per cui ti avevo,
giovane idealista, ammirato, negli anni
luminosi delle passioni e dei sogni. C’era
una speranza, un vento di nuovo, c’era
il tuo sorriso appena accennato, come se 
fossi il solo a sapere che si lottava per nulla
ma bisognava pur farlo e starci dentro
era già un premio bastante. Ci sei stato sempre,
rigoroso e testardo, in quella strada fuori che io,
pigro e borghese, ho transitato con molto 
minore coerenza. Addio Stefano, compagno
di una breve stagione, mai morta per sempre
la più bella che potevamo avere.


Modena, 9 luglio 2012

Per una critica della fretta


A questa velocità, con gli scarsi
strumenti di navigazione
di cui siamo dotati
basta un nonnulla
una folata di vento contraria
una curva più stretta
la momentanea distrazione
di chi ci viaggia accanto
o percorre il mondo
nella direzione contraria.
Manca l’ordine, manca il tempo
della previsione, della cautela
non esistono seconde occasioni
non si rimedia nemmeno
ai piccoli errori dell’inesperienza.
Viaggiamo impreparati e frenetici
nel terrore tellurico
della fine alla prossima svolta
superficiali navigatori della bellezza.
Così l’unica difesa, penso,
sarebbe una vita nascosta, senza mai
essere chiamati al proscenio,
l’unica soluzione sarebbe non essere
almeno per questo mondo.
Da dietro le quinte, forse,
si potrà rallentare, avere occhi
anche per i personaggi minori
cogliere meglio i dettagli
perché di questi è fatta la memoria
una salvezza di piccoli appligli
conservati con cura nella 
scatola da scarpe che
intera contiene tutta la vita.


Modena, 19-23 agosto 2013

Stanza in Ghetto Novo


Oggi penso alla quantità d’infinito
contenuta nel quotidiano microcosmo
di ciò che vedo dalla finestra
a quanto è mutevole e poco stabile il mondo
anche quando nulla pare cambiare
la polvere, il sole, le foglie ingiallite
l’albero che sempre butta verde per primo
e sempre anticipa di qualche giorno l’autunno
le voci di strada, la pioggia
l’alternanza del clima e del vento
del modo in cui guardo la realtà
e modifico i fatti, le cose.


Penso a volte che vorrei una finestra
sul piccolo campo in Ghetto Novo
i pochi alberi, la gente che
entra ed esce dal campo visivo
sparute persone malinconiche e assorte
le foglie a vortici nel vento
e nella pioggia ottobrini
il silenzio della neve che quieta
si scioglie nel canale in Cannaregio
e non l’estate, che non è la mia stagione,
e come tutto è diverso oggi da ieri.
Allora traccio una mappa
dei ciuffi d’erba tra pietre
delle minute crepe dei muri
dell’odore salmastro di laguna
delle sconnessioni dell’acciottolato
faccio il conto delle nuvole in cielo.
Domani uscirò a controllare
e guarderò quanti ciuffi nuovi
quante nuove crepe e quanti fiocchi di neve.
Poi, a sera, rientrerò a far la mappa
delle mie crepe infinite e diverse.


13 settembre 2011