Chiara Bernini nasce a Pesaro il 19 luglio 1992. La sua prima esperienza in campo poetico è a Firenze, nel febbraio 2010, in occasione de "i colloqui fiorentini". Nel 2011 consegue il diploma di liceo linguistico a Pesaro e nello stesso anno si iscrive alla facoltà di Lettere e filosofia di Bologna. La sua prima lettura pubblica è nel dicembre 2012 allo Spazio In2, un circolo arci nel centro di Bologna. Successivamente partecipa all'organizzazione di SPAZIODIVERSI, una serie di incontri svolti nel bar "Spaziocafè" di via 100300 nei quali giovani poeti si riuniscono davanti a un piccolo pubblico e leggono le loro produzioni. Prende poi parte all'organizzazione di "Bologna in lettere", un festival di letteratura svoltosi l'8 giugno 2013 e ideato da Enzo Campi, nel quale gestisce la sezione "letteratura in fasce". Nel giugno del 2013 partecipa al CERTAMEN organizzato dall'università, arrivando seconda, e a luglio dello stesso anno, in occasione di Parco Poesia, viene presentata tra i poeti giovani da Alberto Bertoni. Nell'autunno del 2013 prende parte a un evento organizzato alla trattoria "Montesino" da Giancarlo Sissa per discutere il tema della violenza di genere. Si classifica fra i sette finalisti del Premio Rimini nel marzo 2014. A giugno 2014 ritorna con la seconda edizione di Bologna in Lettere, e nello stesso periodo entra a far parte della redazione della versione online del giornale di poesia Atelier.
Cosa avreste fatto voi
fermàti nel punto più buio nel tunnel
scoloriti e sordi
a dire cosa era successo
se sezionarsi non serve e
non basta cadere e imparare
e ogni mattina è tornare a scoprire
cosa è rimasto e cosa c'è da salvare.
E' arrivata con le solite pose
La primavera sempre uguale come il natale
A sanare gli strappi e gennaio
Se ne è andato anche lui in sordina
La samarcanda delle stagioni continua
A far festa innocenta e sporca
Le poche convinzioni che abbiamo inventato
In fretta -posticce carezze e abbracci sempre meno-
Ma qui si continua a far danza.
Ridevi e prendevi le ultime cose,
dici grazie e mi chiedi stasera,
prendevi i pannelli del letto e di tutto
è rimasto solo niente e solo la stanza vuota
finiti i richiami condominiali del nascondino
il pane e miele di due anni andati persi
e sei uscita lasciando le chiavi
spaiate tutte uguali per darle alla prossima
pantaloni lunghi e le scarpe come le mie
nel tacchettio del cortile ci sono anche io che
per ora non piango e non rido
io
resto col mio rancore e scrivo subito questa poesia.
Come a parlare di marchingegni spaziali
E di tutte le parole più lunghe del mondo
Fare i corsi e gli amici
E imparare a ricucire anche gli strappi più vecchi
Ho messo quasi tutto a posto
Ma solo per non confessarmi che
Che ci vuole niente
A dire che mi sento a metà forse anche meno
Ma resto lontanissima da tutto un ricordo.
Il teatro bislacco di questa casa
già crepa
il soffitto e nelle fughe
sta la polvere che non ho tolto,
non so come scusarmi
se non riesco più a dormire
fuori piove
da settembre.
Ho fatto un chiasmo di te
per vederti in posa una volta
i contorni nei dubbi e le ciglia
folte e la barba intorno al volto,
ti scrivo dentro il mio verso e
sei suono in un suono che mi riesce bene
io ti fermo e mi sposto ma tu
rivinci il mio gioco che
neanche Poesia ti fa cosa da dire.
Come si fa a vederti e non stare bene
Dirti che il cielo diventa rosso
E vedere come il tramonto non sa tradirti
Nella perfezione perfetta della tua posa
Con quale precisione sei fatta a forma qualsiasi
Ti delinea una mano di rabbia
Prospettiva di tutte le cose difficili
Anche le finestre che non si chiudono più
Anche a maggio mese bastardo e insolente.
Non mi piace la noncuranza
che abbandona la maniglia prima che si chiuda la porta:
finisce che l'infisso sbatte
e in tutta la casa rimbomba
il tuo silenzio
e il mio malumore
per quella porta
e per tutto il resto.
Qui non servono i vestiti
e le vocali e neanche troppi discorsi
c'è più silenzio che gente
nelle acque termali della Slovenia
che profumano e fumano fuori
fa freddo ma non se ne accorgono
sarà la guerra o la mestizia
della dogana che svetta obsoleta,
abbiamo preso i documenti stropicciati
nei dieci metri della terra di nessuno.
c'eravamo tanto sbagliati
uguali nell'entrare e nell'andarcene
perfettamente coordinati i movimenti questa volta
nessuno che abbia da ridire
neanche da appellarsi al cielo
e ai tempi sempre confusi forse i posti
ma non era neanche quello-era soltanto
l'irriducibile rarità del potersi innamorare
le congiunzioni astrali mancate
una collana di colpi a vuoto contro il cuore.
Una domenica sera qualsiasi
Che mi metto sul divano senza niente in mano
Con tutte le cose vicine per non dovermi alzare
Cominciano a bruciarmi gli occhi (e sarà la luce di oggi)
Mi dico e mi giro e rigiro tutte le mie parole
Mi sposto gli oggetti addosso per non vedere
Che non sono stata io a volere e non volere
Che ho la testa fra le mani da quando ci sono
E che domani mi sembra già sbagliato.
C'è che tra la solitudine e il dire no
e poi il non dire su cui si cade
ci siamo scontrati le porte
e i piatti e i vasi e gli addio
e siamo tornati a lamentarci del freddo
Io che dico
oggi mi sento gennaio sulle spalle
E tu che singhiozzi
che era sempre meglio il male di prima.
Come faccio a stare tranquilla se
oggi sono e non sono qui o altro
altra da me quasi
spezzarmi
(è) ricompormi
incontrarti per strada è impossibile (un miracolo)
finzione normale l'incontro dei tempi facile
come fosse l'alba che sorge e non io,
voglio un rispetto ossequioso se parliamo del nulla
e non mi si chieda di stare tranquilla prima di dormire
non mi si guardi più in quel gesto
di lutto distante e empatia,
non mi si dica che sono adorabile.