Mario Moroni

Mario Moroni è nato nel 1955. Dal 1989 vive negli Stati Uniti dove ha insegnato all'università di Yale e a Colby College. Attualmente insegna italiano all'università di Binghamton, nello stato di New York. Ha pubblicato otto volumi di poesia ed uno di prose poetiche. Sue poesie e testi di critica sono apparse su "Antologia Geiger", "Carte segrete", "Anterem", "Cervo volante", "Steve", "La terra del fuoco", 'Invarianti", "Novilunio", "Gradiva", "Chelsea", "L'anello che non tiene", "Yale Italian Poetry", Italian Poetry Review" e su varie antologie di poesia italiana contemporanea. Mario Moroni ha pubblicato tre volumi di critica letteraria ed ha co-curato tre volumi di saggi. Con il compositore Jon Hallstrom, Mario Moroni ha prodotto "Reflections on Icarus' land", un DVD per voce recitante, musica elettronica ed immagini. Inoltre ha elaborato una versione del poema "Recitare le ceneri" per voce recitante, voce soprano e pianoforte con il compositore Davis Gaita. Varie versioni di "Reflections on Icarus' Land" e "Recitare le ceneri" sono state eseguite in occasione di festivals ed incontri di poesia.

Recitare le ceneri


Ciò che rimane del giorno,
ciò che non si vede più
o che è stato mal visto, quel giorno
quando John Trevor era uscito in strada, 
scese le scale:
“Cielo quasi blu
dalle mille forme scure”
aveva commentato,
sguardo oltre le nuvole
tanti passi come quei passi
ed ora camminava
già oltre tre isolati,
mentre Martin Jones, impiegato,
era uscito arrabbiato,
colto da collera strana
dopo che suo figlio, così,
al telefono, gli aveva detto: 
“Me ne vado”, voce oltre le nuvole,
cielo dalle mille forme scure,
così aveva voltato l’angolo
e senza pensare aveva chiesto:
“Perché?” Come se non capisse
e di fronte alla metro
aveva visto Stephanie Lane,
madre di due, che correva
con lo sguardo oltre le nuvole,
con mille voci nella testa,
credeva che i suoi figli
non avessero fatto in tempo 
a scuola e così voleva
telefonare, così, solo per sapere.



NOTA AL TESTO: “Recitare le ceneri” vuole essere una rievocazione poetica degli eventi dell’11 settembre 2001. In realtà gli eventi stessi non vengono riproposti, bensì il testo è composto da una serie di riferimenti frammentati alla vita di alcune delle vittime. Le informazioni sulle vittime mi sono state fornite dagli annunci mortuari apparsi sul New York Times. Quindi la voce poetica soggettiva è ridotta al minimo, come segno di rispetto per le vittime stesse, un dovuto atto di umiltà, allo scopo di far emergere la tragedia da dati biografici oggettivi. Intercalati appaiono tre distinti “Intervalli” che costituiscono un’immaginaria voce “terrorista” a bordo di un aereo. Gli intervalli sono volutamente costruiti su un tono poetico “alto” per il quale mi sono servito del “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Giacomo Leopardi. “Recitare le ceneri” è concepito come recitativo a più voci da eseguire in pubblico.

Intermezzo 1


Con lo sguardo oltre le nuvole,
con mille voci nella testa,
sopra le mille e mille luci
mille riflessi dai libri sacri,
da città deserte e mille,
mille villaggi, così, ora
riunite le greggi meccaniche, così,
proprio ora, riunite le greggi alate,
ora con questo sguardo sono io a parlare,
io molte volte io, a quale voce ho diritto
io, pastore tra mille e mille luci,
pastore e capitano di bordo,
io, pastore, seduto, ora, così, solo per un attimo
sull’aereo fantasma, così, oltre le nuvole
quale voce risiede e presiede, così
sorpassato il luogo della luna
occidente che insegue occidente
ormai liberate tutte le greggi, ormai.
 
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Era la stessa mattina
in cui John Taylor era
passato per caso all’edicola e così, 
solo per sapere,
aveva letto il giornale
e da una foto di prateria
era tornato alla casa
dell’infanzia, così, solo
per un momento, così,
come per guardare oltre
le nuvole, mille forme scure
e da lì era andato
verso il grattacielo,
dove intanto era già entrato 
Paul Smith, pronto per lavorare
ma con la testa assente,
come in un sogno, così, uscito da casa
dopo aver ascoltato un messaggio
che diceva: “Non ci sei ora,
ma la tua voce non sarà assente per sempre”.

Intermezzo 2


Io, partito da villaggi del sale,
proprio così, sguardo oltre le nuvole,
dai porti smarriti di cui oggi si legge,
così, sui libri o sulle mappe,
io partito dai deserti quando 
l’Asia era altra Asia,
quando le mattine non ancora  
esplose nelle viscere
sotto i fuochi dei mortai, degli dèi,
così, proprio così, partire,
sguardo oltre le nuvole,
nell’avventura di una lingua soffusa,
mai del tutto scritta,
io, sempre io, molti io, sospeso nella sera
a pregare, a meditare, oggi in cabina
sull’aereo fantasma, a pilotare,
quali sogni di nascita, quali di morte?
 
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Era la stessa mattina
in cui Gregory Clark
era stato definito un angelo, proprio così,
dalla donna che non voleva perdere 
le sue memorie, era l’uomo che ordinava
sempre la stessa cosa, così, perfino
nell’estate 1987, quando tutto era cominciato,
quando l’aveva incontrata così,
sguardo oltre le nuvole, cielo
quasi blu, dalle mille forme scure
ed anche dopo, in New Jersey, con due figli,
senza mai chiedere cose per se stesso,
così era diventato un angelo, fino
a quel giorno, quando uscito di casa,
testa oltre le nuvole, così, come perso, in un messaggio
aveva detto: “I ricordi felici
non possono andare perduti”.

Intermezzo 3


Io, ancora io, tutto il mio io
ora nella mappa elettronica
a cavallo di oceani, lasciati i deserti
e le carovane, così, danzanti
così, oltre le nuvole,
ora volo controluce, contro tutto
per contemplare, dove va il mio corso?
Con il vento che spira in coda,
che insegue le foglie, spazza via le memorie,
corso immortale, dove va, ora
così, oltre le nuvole.

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Ma non era certo come Daniel Nolan, no
certo che no, lui che aveva iniziato
così, sciando giù da una montagna 
poi via via nell’acqua, scendendo
più a fondo possibile, così, senza paura,
nella casa che aveva costruito
e da cui era partito, quella mattina,
così, sguardo oltre le nuvole.
 
Perché a Michael Wittenstein piaceva giocare? 
Se lo chiedevano in molti, specialmente quando lui disse
che sarebbe diventato un procuratore.
Ma poi tra Londra a California, così tra giocoso e serio
aveva fatto altro, così senza pensare, come per gioco,
come se il gioco fosse lì ad aspettare
di essere giocato. E quel giorno era seduto lì 
nel grattacielo, al telefono aveva detto qualcosa,
che però non s' era sentita, interrotta così dall'esplosione,
proprio così, come per gioco, che pareva sempre essere lì
per essere giocato. Lui richiamò: "c'è stato qualcosa,
come un gioco, un'esplosione, qui, che adesso non si vede 
più niente". Così, come aveva fatto in aprile, cambiare casa
per poi sposarsi e negli occhi di lei era rimansto sempre
come qualcuno che si muove per caso, come la sera precedente,
parlando al fratello: "sembra che vada tutto bene".
 


Era la stessa mattina in cui Joseph Anchundia
ormai separato dai suoi migliori amici era uscito,
separato dagli amici che aveva avuto
fin dalle scuole inferiori, una storia fatta di molte foto
prese per caso, così senza pensare, con la testa tra le nuvole,
fino a quella mattina, fino all'ultima doccia, fatta alle sei,
ascoltando le voci dalla sua memoria, quelle degli amici,
ormai separati, ormai sulla porta senza salutare,
"c'è una mappa che porta alla felicità?" aveva chiesto una volta, 
quasi ogni volta all'entrata del grattacielo, prima di entrare, prima di uscire,
come quella mattina, mai più uscito. Se quella mappa c'era 
quel giorno non era sul suo tavolo.






C’era poi Greg Richards
che non poteva proprio stare
lontano da New York, proprio no.
Nato e cresciuto lì, sguardo oltre le nuvole,
proprio così, anche quando
trasferito in Michigan, sguardo oltre le nuvole,
aveva cominciato a lavorare, anche lì
sognava di New York, sempre di New York.
Che cosa gli mancava? Tutte le cose, 
tutte le nuvole, così tutte da guardare,
e le cose che ad altri non piacevano,
ma che per lui erano lì, a New York, 
tutte da guardare così, con lo sguardo oltre le nuvole.
Così Greg Richard era tornato
ed era diventato una città, perfino quella mattina,
cielo quasi blu, dalle mille forme scure,
salutando suo figlio, Asher, di due anni,
aveva detto: “allora, al parco giochi, più tardi”
che poi doveva diventare sempre più tardi,
quel giorno, sguardo oltre le nuvole, e poi 
era diventato un mai più.
 
 
Poi che strano, c’era anche Jan Maciejewski,
che nel 1990 viveva ancora in Polonia, 
un giorno, così, sguardo tra le nuvole, 
era emigrato in America, con un cielo quasi blu
e da allora aveva fatto il cameriere, così,
con lo sguardo oltre le nuvole, 
sempre in movimento, dal lavoro
a casa, a volte a piedi, così,
sempre in movimento,
poi che strano, quel giorno al grattacielo,
a quell’ora non avrebbe dovuto esserci,
ma c’era, sì c’era andato solo così,
per sostituire un collega
per un turno di lavoro al ristorante, 
proprio così, quel giorno, cielo blu
dalle mille forme scure.
  
 
Perché poi quel giorno in quel ristornate
era seduto a colazione Chris Epps, così,
per caso, sguardo oltre le nuvole,
lui, che parlava di speranza, anche quel giorno
a sua sorella, nel Bronx, sua sorella che poi
aveva telefonato per sapere, ma aveva trovato solo
un messaggio: “Ci vediamo, che Dio ti benedica”
poi più nulla, così, come per caso.
Tranne che poi lei aveva trovato una poesia
che lui aveva scritto la sera prima,
prima di quel giorno e che diceva:
“a volte affronto il pericolo,
pieno di paura, e cammino
in una valle di ombre, 
all’ombra della morte,
ma non ho più paura,
perché sono vivo ogni giorno
e sono vivo perché il Signore
protegge la mia vita.”
Poi così, come per caso,
era seduto  quel giorno,
sguardo oltre le  nuvole,
ma anche dopo l’esplosione,
anche dopo non aveva pensato che il Signore
avesse voluto tutto quello, no
non era volontà del Signore, no, 
era invece l’abuso, così oltre le nuvole, era l’abuso 
della volontà di quelli, che così, proprio così,
dal Signore sono lontani 
e creano distruzione, proprio così
per volontà loro e non del Signore,
così, distruggevano, dal cielo blu, dalle mille forme scure,
così separati dal Signore, perfino dal loro Signore, da ogni Signore,
così distanti da tutto distruggevano.