Gian Maria Annovi

Gian Maria Annovi (Reggio Emilia, 1978) vive a Los Angeles, dove insegna letteratura italiana presso la USC-University of Southern California. Laureato in filosofia, ha conseguito un dottorato di ricerca in italianistica presso l’Università di Bologna e un Ph.D. in Italian Studies alla Columbia University. Ha esordito con Denkmal (l’Obliquo 1998), seguito da Terza persona cortese (d’if 2007), Self-eaters (CRM 2007, finalista al Premio Antonio Delfini), Kamikaze e altre persone (con prefazione di Antonella Anedda, Transeuropa 2010, finalista al Premio Lorenzo Montano), Italics (Aragno 2013), La scolta (nottetempo 2013). Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese e spagnolo e incluse, tra le altre, nelle antologie L’opera comune (Atelier 2001), Parco Poesia (Guaraldi 2003), Nodo sottile 4 (Crocetti 2004), Poesie dell’inizio del mondo (DeriveApprodi 2007), Poeti italiani in America (In forma di parole 2011), Poeti degli anni Zero (Ponte Sisto 2012). Nel 2006 ha vinto il Premio Mazzacurati-Russo per l’opera inedita, nel 2013 il Premio Immaginare poesia e nel 2014 il Premio Achille Marazza. Ha tradotto diversi poeti nordamericani e scrive per «il manifesto» e «alfabeta2».

Foto di Dino Ignani

self-eater #1

 


non distingue le dita delle mani
dalle dita dei piedi non distingue

la cartilagine dall'unghia
che è la cosa morta che
gli cresce

e se ne nutre:

si allunga dunque e flette e piega
gli arti di plastilina

l'arte è lui: contorsionista bambina

deformata dall'idea di perfezione



Da SELF-EATERS (autofagi) Italics (Torino, Nino Aragno Editore, 2013)

self-eater #2



sdraiato tra sterpaglie fluorescenti
con i piedi sfuocati dal calore
si divora la braccia da solo

ne resta una mano sinistra
su una bianca manciata di sassi
a destra nel campo di rottami

ha assunto la posa della maya
desnuda con il sesso drizzato
sul ventre 

(e riposa)



Da SELF-EATERS (autofagi) Italics (Torino, Nino Aragno Editore, 2013)

self-eater #8



si mangia le parole 
che altri poi rimangiano 
e mastica un linguaggio
che abita sul fondo dello stomaco:

non vuole la lingua che marcisce
il pomo d’Adamo disseccato
il fiato che dura 
più di questa parola
che fra pochi secondi
anzi – ora –

si distrugge da sola



Da SELF-EATERS (autofagi) Italics (Torino, Nino Aragno Editore, 2013)

Canto d’ingresso



[Ucraine, Moldave, Russe con bigodini sulla testa. 
Parco della Resistenza. Domenica. Dopo la messa ortodossa.]

in camio ti porta Signore a confine
in piedi nel gelo di frizer
in mezzo a la carne di maiale

poi in macchina chiude 
in dietro di bagagliaio 
mano legate piedi con corda
con nastro marrone

poi c’è strada la notte per mesi
la fuga

poi c’è casa in campagna

donna malata che 
non può parlare:

la bada



Da La Scolta (Roma, nottetempo, 2013)

La Signora # 1



me la mettono in casa per forza
ad aspettare che muoia
una non italiana
una troia

io che insegnavo il latino
che traducevo il greco

e ora una cosa che sbatte le ciglia
che appena mugugna

un sacco di ossa e respiro

e lenzuola



Da La Scolta (Roma, nottetempo, 2013)

La Scolta # 2



mattina lava Signora con carozina.
lava tutta. con sapognetta. con spunia.
lava capelli anche.
lava là in fondo che Signora non vuole
e mi grida.
ma io volio profuma di buono
non quello suo odore

di donna che more.


Da La Scolta (Roma, nottetempo, 2013)

La Signora # 2


‘scolta: tu quasi mi anneghi
nella vasca con l’acqua troppo calda
troppo fredda con troppo sapone
da due soldi

mi tocchi dove tocca solo all’uomo
mentre parli una lingua che pare
calcata da un grosso bove

anch’io l’avevo il tuo seno gonfio
mi lavavo con schiuma di lavanda

l’avevo la vita: 

io  



Da La Scolta (Roma, nottetempo, 2013)

(brilla corpo-kamikaze)



brilla corpo-kamikaze:
stella avariata
spunta le dita dei passanti
le falangi per aria
in un volo armato di
colombe

(tutto il mondo è bombato)

che nel balzo ti inclina
la schiena

che ti sbalza la pelle
di costole / di vertebre

che piombi acceso sul selciato



lo dico a te
in questa lingua che non riconosci
lo dico facendo segnali di 
luce
con la tapparella e il riflesso
delle posate

lo dico a parola che non risponde
alle pressanti richieste di cibo
del mondo

tu taci sventrato dal silenzio

(il buco della bocca spalancato)



torneremo a chiedere il conto
persona secondo persona
al tetro stivale che ci scalcia
in una storia veramente poco
necessaria per la donna e
per l’uomo

noi che parliamo da fosse
comuni con respiro sepolto
nelle narici
nelle fosse nasali
con la torba nel cavo orale

con le ossa tutte abbracciate

con triangoli al petto sgualciti



Da Kamikaze (e altre persone), (Massa, Transeuropa, 2010)