Sauro Albisani

Sauro Albisani nasce a Ronta del Mugello il 20 febbraio 1956. Ancora ragazzo si trasferisce a Firenze, dove seguirà  gli studi classici per poi iscriversi alla Facoltà  di Lettere. Qui avrà  come maestri, tra gli altri, Lanfranco Caretti e Ludovico Zorzi per la Storia del Teatro, disciplina nella quale si laurea nel 1980. Negli stessi anni conosce Carlo Betocchi, a proposito del quale ancor oggi egli sente di poter far sue le parole di Luzi che chiudono una poesia dedicata all'autore de L'estate di San Martino: «mio solo umile maestro». Di Betocchi, Albisani curerà  due libri (Poesie del sabato e Confessioni minori) e due ne dedicherà  alla sua poesia nell'arco dei successivi vent'anni (Il cacciatore d'allodole, 1989; Cieli di Betocchi, 2006). Intrapresa la professione di insegnante nella Scuola Superiore, affianca all'impegno didattico un'attività  teatrale che dà  spazio e voce al suo secondo tavolo di lavoro, quello della drammaturgia, che alterna a quello della poesia, non di rado coniugandoli insieme secondo la formula eliotiana di un teatro in versi. All'interno di questa esperienza, fondamentale quanto l'incontro con Betocchi risulta quello con Orazio Costa Giovangigli, il grande decano del teatro italiano, che dedicherà  anche pubblicamente molta attenzione alla drammaturgia di Albisani, arricchitasi nel tempo, dopo l'esordio con Campo del sangue (Vallecchi, 1987), di altri titoli: Il santo inganno, Il roveto ardente, Perché il volo cominci, Giosuè Borsi, I segugi (rielaborazione dell'omonimo frammento sofocleo condotta a quattro mani con Miklos Hubay). Ma del lavoro teatrale di Albisani non si può tacere l'impegno costante nel laboratorio didattico che da sempre porta avanti insieme all'insegnamento curricolare, nonché la direzione artistica quinquennale del piccolo e coraggioso Teatro Borsi di Prato, da lui stesso fondato nel 2004 e proseguito fino al 2009. Non meno significativi l'impegno saggistico incentrato su un metodo di riflessione aforistica riguardo alla deontologia del poeta nella società  post-gutenberghiana (Ippocrene. Riflessioni sull'ispirazione poetica, 1991; Verso casa. Soliloqui sulla poesia, 1992) e il costante lavoro di traduzione (da Marziale all'ungherese Arany, al rumeno Eminescu). Centrale resta comunque la sua produzione lirica, scandita a tutt'oggi in tre volumi: Terra e cenere (2002), La valle delle visioni (2012), Orografie (2014). Di Albisani hanno scritto: Franca Bacchiega, Luigi Baldacci, Carlo Betocchi, Giuseppe Conte, Luigi Fontanella, Sergio Givone, Margherita Guidacci, Elena Gurrieri, Francesco Gurrieri, Paolo Lagazzi, Mario Luzi, Giuliano Manacorda, Franco Manescalchi, Claudio Marabini, Marco Marchi, Gianfranco Palmery, Giuseppe Panella, Darwin Pastorin, Corrado Pestelli, Giselda Pontesilli, Giancarlo Pontiggia, Davide Puccini, Gaia Rau, Davide Rondoni, Domenico Vuoto, Andrea Zanzotto. Premi: Circe Sabaudia, Contini Bonacossi, Frascati, Gradiva New York, Il Ceppo, Lerici Pea, San Pellegrino Terme, Viareggio giuria. Sito ufficiale: www.sauroalbisani.com

Avevamo due oche tanto belle

 

Avevamo due oche tanto belle
col becco arancio e il collo che nuotava
nell'aria, senza peso. Amoreggiavano
l'una presa dell'altra, sempre schive
e sdegnose, felici. Gli animali
rimproverano l'uomo con la loro
felicità. Io le guardavo e attonito
mi domandavo: forse anche per noi
un giorno fu così, semplice, tutto?
Ma venne un giorno di festa e mia madre
ne uccise una, io non so se il maschio
o la femmina. L'altra per un po'
andò cercando la compagna, e invano
la chiamava col verso suo. Finché
comprese d'essere rimasta sola,
divenne altera, prodigiosamente
mutò d'indole, quanto prima era
pavida e mansueta tanto adesso
nella sua solitudine si fece
feroce, vigilava che nessuno
s'avvicinasse alla casa, aggrediva
anche il postino abbassando il collo
orizzontale sibilando un fioco
urlo col becco aperto come le oche
capitoline contro Brenno quando
salvarono la vita ai senatori.
E tutto il giorno quell'oca superstite,
come già morta custodiva immobile
la casa dei suoi nemici.


da Terra e cenere (Il Labirinto, 2002)

Io sono il pino che davanti casa

 

Io sono il pino che davanti casa
vecchio non so di quanti secoli ode
premere dentro sé l'eternità
e tuttavia maledettamente
inclina... verso dove? quale, quale
altro cielo continuo a cercare
da quello che m'incombe verticale?
Io spezzo l'equilibrio graffio l'aria
pendo su queste vite fiduciose
su questa casa... Chi mi vede
non sa che anch'io mi nutro di pensieri
e che i bambini giocano con me
e mi sorreggono col loro sguardo.


da Terra e cenere (Il Labirinto, 2002)

Capre

 

I fari illuminano le capre
che come ogni sera hanno risalito la scarpata
per ammusarsi sull'asfalto
alla luce delle stelle.
Non vogliono più erba
ma il tepore di questo lenzuolo
liscio e innaturale.
Di qui non passa un'anima fino a giorno,
potrei premere sull'acceleratore
e lasciarmi alle spalle
un bagno di sangue,
come Aiace che infierisce
su quella mandria inerme.
Dopo, però, l'eroe si risveglia.
Invece freno, esco dall'auto e le accarezzo.
Ruzzano con la mia mano
che indugia sulle loro labbra umide.
Io non so più parlare,
ma non c'è bisogno di parlare.
Forse quando cadiamo in quel torpore mortale
esseri superiori ci osservano
e potrebbero annichilirci in un attimo,
chiudere la partita
senza dircelo,
ma non lo fanno.


da La valle delle visioni (Passigli, 2012)

Sulla felicità

 

Andavano da Cervia a Cesenatico
sulla battigia quando la marea
si ritira e rimangono le arselle
a boccheggiare nella sabbia. Il rischio,
pensava, è di forare e dover spingere
la bici a mano col peso del bambino.
Erano troppo piccoli per chiedergli
di farla a piedi.
Lui pedalava pensando: verrà,
verrà  prima o poi quella che chiamo
felicità e non so cosa sia
se non, immagino, sentirmi a mio agio
in questo corpo. Un surf
là davanti faceva una cosa sola
di una vela e di un uomo. Il primogenito
pensava alle navi. La mamma
pensava alla cena pedalando. L'ultimo nato,
nel suo seggiolino, accompagnava la corsa
come tutte le sere
gorgheggiando. Ancora non parlava. L'uomo,
inquieto, stupidamente, continuava a pensare
alla felicità, credeva d'avere solo dei pedali
sotto le suole.

                     Che cosa aveva sotto le suole,
sul manubrio e a destra, dalla parte del mare,
e là davanti, a pochi metri, fra i capelli
di quella giovane mamma
lo avrebbe capito solo molti anni dopo
provando a fare una poesia.


da La valle delle visioni (Passigli, 2012)

I due ragazzi preparano l'esca

 

I due ragazzi preparano l'esca
con attenzione perché il mare premi
la loro grande sete di avventura,
sognano ad occhi aperti la paranza
sorridendo ai dragoni dalle forme
inverosimili e possibili, hanno
tanta felicità  davanti a sé.

Intirizziti dentro l'aria fresca
spingono spingono sui loro remi,
si prepara burrasca, hanno paura
ad occhi chiusi nella loro stanza
dove ai piedi del letto il gatto dorme
sognando i loro sogni, pescheranno
pesce vivo in un mare che non c'è.


da Orografie (Passigli, 2014)

Oltre tutto

 

Rincasando la sera faccio appena in tempo
a posare la borsa nel mio studiolo
e la cena è in tavola. Ma lascio
la luce accesa sul quaderno bianco,
nella stanzina vuota.
Non uno spirito di vento volta la pagina.
Tuttavia spero sempre di vedere
i penati
rientrando a sorpresa.

E poi, oltre tutto, ho ancora paura del buio.


da Orografie (Passigli, 2014)