Roberto Carifi, poeta e filosofo, è nato a Pistoia nel 1948, dove vive. Ha pubblicato diversi libri di poesia, tra i quali: Infanzia (Società di poesia, 1987), L’obbedienza (Crocetti, 1986), Occidente (Crocetti, 1990), Amore e destino (Crocetti, 1993), Poesie (I Quaderni del Battello Ebbro, 1993), Il Figlio (Jaca Book, 1995), Amore d’autunno (Guanda, 1998), Il gelo e la luce (Le Lettere, 2003), Le domande di Masao (Jaca Book, 2003), La madre (Le Lettere, 2014). Tra i saggi, ricordiamo: Il gesto di Callicle (Società di poesia, 1982), Il segreto e il dono (Egea, 1994), Le parole del pensiero (Le lettere, 1995), Il male e la luce (I Quaderni del Battello Ebbro, 1997), Nomi del Novecento (Le Lettere, 2000), In difesa della poesia (Le Lettere, 2001). Ha tradotto tra gli altri: Rilke, Trakl, Hesse, Bataille, Flaubert, Racine, Weil, Prévert, Rousseau. Tradotto in varie lingue ha collaborato e collabora con giornali e riviste, tra cui Poesia. Hanno scritto di Carifi: Bigongiari, Macrì, Cordelli, Cucchi, Conte, F. Napoli, Galaverni, Lagazzi, Piccini, Viviani, Mussapi, Rafanelli, Jacuzzi, Zucchi, Donati, Crespi, Forti, Marchi, Gatta, ecc
Quando svanivi, Giovanni quella casa dava sul bosco
quante domeniche correndo alla paura?
stringeva l’orso, il soldatino, veniva il pianto
che gennaio conduce, debole luce che s’inginocchia
il giorno sul suo pallore...vedessi le anime dei santi
piccole fiamme costeggiavano il ponte, come svanivi
l’ombra dei tuoi capelli sul nostro viso
non c’è sorriso per l’infanzia muta, Giovanni
padre che morto ti veleggia il tempo.
da Infanzia, Società di poesia, 1984
E’ tanto che prego, impiccata a questa corda.
Mi chiamano Marina, come l’acqua!
C’è una brezza marmata nei miei occhi,
una condanna senza appello.
Dicono: verrà di notte, con un grido.
Quando, domando, quando sarà?
E’ molto, troppo che spenzolo
da questo lampadario. La luce è in fronte,
piantata a caso. La luce è qui,
nelle mie costole.
Se non fosse per gli stracci,
per i cadaveri appesi alle finestre
canterei la fioritura,
la più bella fioritura.
E’ già l’estate?
Così hanno detto, ma qui è mancato il pane,
anche l’ultima briciola
e nevica ancora sull’erba tenera,
sulla tomba di Sergej.
da Il Figlio, Jaca Book, 1995
Così è l’occidente. Bandiere a picco
ragazzi bruciati da un angelo morente
nel freddo di Cracovia,
nel sangue di Slovenia...
Sapessi, Achmàtova, cantare anch’io
la bufera siberiana,
la nera icona che piange lungo il muro,
confessare a quel viso il mio spavento
Ecco, direi, quello che resta per me, per voi
un’anima esiliata,
il passo del figlio nel vento autunnale,
la cagna che nel lamento
saluta lo straniero...
lo so, noi pregheremo
ciascuno con le sue povere mani aperte
e sarà santo il giorno.
da Il Figlio, Jaca Book, 1995
Non ho che questo cuore arato,
la terrazza dove mi parla un’anima di neve,
una contrada tra orizzonte e nulla,
lo sanno gli angeli delle mie stanze
che prego come un impiccato
e sotto il lume la sagoma è più nuda
oh veranda rattristata da un pugno di luci,
muta sorella di tanto sangue
oh creatura che affoghi nel lucore
e che consoli.
da Europa, Jaca Book, 1999
L’inverno, lo sai, ha due volti
uno contempla l’agonia del tordo,
l’altro sorride a un vaneggiante.
L’inverno per noi è una scintilla,
meglio se il giorno appassisce nella notte,
meglio se tra notte e giorno sanguina il tramonto.
Non siamo noi quelli che una parola
pronunciata da bocche disattente
destinò al ritorno?
siedi anche tu a questa veglia
ora che il mondo tace.
da Europa, Jaca Book, 1999
Anche a me dicesti tra uccelli fissi come occhiaie
una parola da mare nuda, abbandonata,
e tutto il male provò vergogna,
la tua minuscola parola che divenne acqua
e acqua il tuo respiro.
Anche a me donasti un cuore di nessuno
che batte nella dura pietra,
accanto ai nomi dei fratelli uccisi
e un occhio, un occhio che nessuno vede
e che riflette la memoria.
E quando volò via da te la madre
e il padre fu scritto nella cenere
e lo scialletto avvolse il tuo dolore
provò vergogna tutto questo male,
questa radice che nutre l’esistenza.
da Europa, Jaca Book, 1999
Dormono con occhi nella palude i morti.
Uno promette amore,
dispone la bocca al bacio,
si avventa su di te.
Un altro chiede di te,
nel cavo dell’occhio legge il tuo destino.
Dormono, nel tuo letto di foglie, i morti.
Uno prepara la mano alla carezza,
il tuo viso si scioglie nel palmo della mano.
Un altro abbandona il tuo giaciglio,
promette una voce alle tue labbra.
Dormono, i morti, nel tuo cuore.
da Europa, Jaca Book, 1999
Quante notti vegliavo a ripensare a te
e sentivo il tuo respiro passarmi accanto,
avrei voluto che tu fossi viva, anche insieme
al tavolo di noce, o vecchi tu e io, un lembo di mare
immobile e noi due eterni, come se avessimo vinto
vita e morte, davanti al mare aperto.
(da Madre, Le Lettere, 2014)
Piccola madre, quando sarai pura mente
e mi guarderai a distanza, ricordati di me,
lo sciancato, e passa come un velo
accanto al mio letto, piccola grande madre
quando sarai nel Grande Vuoto pensa
a questo martirio ed alla Compassione
che mi porto dentro
(da Madre, Le Lettere, 2014)
A te rivolgo la preghiera,
madre che sei nel regno innominato,
madre che piangi in questo cuore arato
a te rivolgo la preghiera
e ti ringrazio per avermi amato.
(da Madre, Le Lettere, 2014)
Quando ti convoca la voce
verso un’altra fonte,
verso una nuova vita,
tu che sei nel cuore e nella mente
dove l’anima è il canto più sereno.
(da Madre, Le Lettere, 2014)
Quando tutto si spegne
e cieca vaga la tua stirpe
offrendo una mano devastata,
quando ogni cosa giunge
a fare inflessibile la notte
e il figlio cerca la madre
nel cenno muto della morte
e il nulla accompagna la tua cena
lascia che la parola galleggi
nel tuo sangue.
(da Madre, Le Lettere, 2014)