Raffaela Fazio è nata ad Arezzo nel 1971. Dopo aver vissuto in vari paesi europei dal 1990 al 1999, si è stabilita a Roma, dove lavora come traduttrice. Laureata in lingue e politiche europee (Grenoble) e specializzata in interpretariato (Ginevra), ha conseguito a Roma un diploma in scienze religiose e un master in beni culturali, con studi incentrati sull’esegesi biblica e sull'iconografia cristiana. È autrice di diversi libri di poesia: dopo la primissima raccolta “Corolle” di versi giovanili (Roma, 1987, Premio Giuseppe Dessì), ha pubblicato “Per ogni cosa incompiuta” (Firenze, 2008), “A un filo più lento” (Firenze, 2010), “Ogni onda è il mare. Rime da regalare” (Firenze, 2011), “A garante il mistero” (Firenze, 2012), “La boîte” (Firenze, 2013). Il suo ultimo libro di poesie, con prefazione di Paolo Ruffilli, s’intitola “L’arte di cadere” (Castelfranco Veneto, 2015).
A ogni oracolo un baro.
A ogni rupe il suo ossario
di indovini incoscienti.
Non ci è dato sapere
quale è il tempo, né il modo.
Ma il dolore ha il suo guado.
Scenda il fuoco su Giano
e su Adamo
il torpore.
(da Per ogni cosa incompiuta, Firenze, 2008)
Tardi ormai si è piegato
il glicine sui pergolati.
O troppo in fretta
il profumo
ci ha incontrati.
Come il silenzio che precorre il suono
e ne fa superfluo il ricatto.
(da Un filo più lento, Firenze, 2010)
Alla fine
è forse il destino di ogni uomo
diradarsi
come un bosco
quando rimane in vista
una cosa sola
contro il cedevole orizzonte
e offrire proprio quella
al mondo e al cielo
come si offre a un padre
la fronte.
(da A garante il mistero, Firenze, 2012)
Ha occhi d’uccello notturno.
Negli artigli
uno zufolio muschioso.
Sminuzza la distanza dal cielo
per dartela in pasto
e sbugiarda lo scaltro cuculo.
Ma ogni mossa del cuore
gelosa
la sente.
Fai piano.
Non soffiare sul nido.
Che non s’alzi in pagliuzze
il ricordo
nel vento più alto
e ricada
irrisolto diverso
sul contorno verace
in cui è chiusa la preda:
il mio volto
nel tempo.
(Da LA BOÎTE, Firenze, 2013)
Sei per metà
il mio passaggio obbligato
da cime accecate dal nevischio
ai nudi epicentri del respiro
dove più vera
la vita cresce
in grembo al rischio.
E per metà
sei fuori da ogni rotta
un valico sconnesso
inespugnato:
nella totale assenza delle prove
sei il mio dolce reato
mai commesso.
(Da LA BOÎTE, Firenze, 2013)
Come il sole cerca di notte
l’altro versante della terra
il familiare si sposta nell’ignoto.
Io e te che in guerra
lucenti ci amiamo
ora torniamo
a due paci lontane.
Lasciamo il letto
assolato e sfatto
come un assoluto che invano
cercherebbe un confine
come un dire infinito
che si ritira dal detto.
(Da L'arte di cadere, Castelfranco Veneto, 2015)
Sono
quello sfondo d’aria
che più di altri palesa
la pioggia
la zona sospesa
in cui più chiaro
si tratteggia
il desiderio.
Sono
quella me
che mi rivela.
Ma è sempre
un volto dell’assenza.
(Da L'arte di cadere, Castelfranco Veneto, 2015)
Ho visto un angolo invariato.
Poi ho scorto con gli anni
che dei tre lati
uno si è accorciato.
Tra gli altri due –il bianco e il nero-
è assai breve ora la distanza.
Lo spazio piano circoscritto
si è ridotto.
A volte addirittura
nell’accavallamento ciò che resta
è una linea una lenza
un segmento né bianco né nero
che si fa più consunto
quasi un punto
che brucia
privo d’attributi
che in sé non tiene nessuna superficie
ma tutt’intorno lascia
uno stare illimitato.
(Da L'arte di cadere, Castelfranco Veneto, 2015)
Faccio ripartire
il viaggio
il racconto di un viso
che non ho più toccato
il giorno
che è finito.
Lo faccio ripartire
da un attimo preciso.
Poi sposto quel momento come fosse
la punta di un compasso
per vedere
con uguale raggio
il mutare del disegno
e del coraggio con cui s’ingegna
la memoria
nel fare dei suoi chiusi passi
una danza di vittoria.
(Da L'arte di cadere, Castelfranco Veneto, 2015)
C’è in me qualcosa che s’alza
ricade s’innalza di nuovo.
Uno sbalzo
prima del tacito assembramento.
Un tamburellare improvviso
della tempia
sul suo fragile orlo
come un campo
preso al margine
dal suo più forte
vento.
Ma poi anche il vento
come ogni morte
cessa.
E quando cessa
mi lascia dove s’arresta:
una pendenza una cresta un pianoro
una parte di me
dove la speranza che torna
non è più la stessa.
(Da L’arte di cadere, Castelfranco Veneto, 2015)
Conserva le mie anche
a temperatura ambiente
il corpo nel verso giusto
(con la testa
rivolta al presente)
ma le labbra vanno riposte
un poco dischiuse
nel buio appena torchiato
nell’attesa
nel mosto.
(Da L’arte di cadere, Castelfranco Veneto, 2015)
Questo dovrò imparare
a disserrare
a guardare dapprima vicino
poi oltre davanti più in fondo
il viale del tuo tempo
che si apre al mondo.
E nel mondo tutt’intorno
restituire una voce
di terra alla terra
e di buono alla fonte lontana.
Saprò lasciare la stretta
ridare
sul pendio inatteso
un più generoso scintillìo
al ruotare dei fatti
non invano
come il bimbo che sente
il soffio di Dio
nell’istante
in cui finalmente
va in bicicletta
con una sola mano.
(Da L’arte di cadere, Castelfranco Veneto, 2015)