Paolo Fabrizio Iacuzzi vive tra Firenze e Pistoia, dov’è nato nel 1961. Nel 1996 ha pubblicato Magnificat (I Quaderni del Battello Ebbro); nel 2000 Jacquerie (Nino Aragno Editore); nel 2005 Patricidio (Nino Aragno Editore); nel 2008 Rosso degli affetti (Nino Aragno Editore); nel 2016 Pietra della Pazzia (Giorgio Tesi Editore); nel 2018 Folla delle vene. Il museo che di me affiora (Corsiero Editore); nel 2020 Consegnati al silenzio. Ballata del bizzarro unico male (Bompiani Editore). La silloge Fiabucce per una madre è pubblicata nell’antologia Sospeso respiro. Poesia di Pandemia, a cura di Gabrio Vitali (Moretti & Vitali 2021). È presente in diverse antologie ed è tradotto in altre lingue; nel 2021 è stata pubblicata in francese la sua antologia Le Pavillon vert et autres poèms (Voix Vives – Al Manar). Nel 2022 è uscito a cura di Michele Bordoni il libro Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita. Versi scelti 1982-2022, Interno Poesia. Sito web: www.paolofabrizioiacuzzi.it
Recensione di Gabrio Vitali
Da Tribunale delle ortensie
(per Michele Bordoni)
1
Giorni vicini al solstizio d’estate. Nel Piano di Furia
sedato dal dolore. E lui in piedi davanti al tribunale
delle ortensie. Baffi arricciati in su per inquisire. Così
è arrivata la bella stagione. Col puntaspilli alle spalle.
Ficcate nel suolo le Annabelle. Le bianche idrangee
femmine in questo contesto. Quelle belle porzioni
di cervello issate sulle spade. Intelligenze franate
lungo la ringhiera del bastione che ora si affolla.
Per giudicare il corpo. Quel suo corpo infilzato da
spade. Per apporvi bucato il cartamodello da sarto
col bisturi e fili. Discendendo lui da antichi cerusici.
Per quelle tavole di anatomia che avrebbe redatto
con dovizia imposta da parole. Ortensie immense
assise al fuoco. All’ombra del vecchio cerro malato.
2
Erano sorte durante tutta la notte. Alte come dopo
le piogge di primavera. Alti steli corone bianche
inclinati fino al collasso. Una accanto all’altra. Una
folla bianca e immensa sempre allineata ad arco.
Davanti alla ringhiera che separa la vigna dall’orto
restante non più in uso. Levati da non so quale terra
gli steli issati nel bianco già grigio. Come in tutte
le nostre anime certe emozioni che abbiamo vissuto.
Ora sorto di scatto. Quel tribunale alzatosi in piedi
da pochi anni malgrado lo sterro. Tutta quella nostra
fitta schiera stesa là davanti per reclamare giustizia.
Per chiedere ragione della vita persa dietro ai quadri
ed enumerare in versi il futuro nel passato. I sogni
conficcati nella terra con la sola forza del pensiero.
Da Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita
A cura di Michele Bordoni (Interno Poesia 2022)
Da La bicicletta Bianca
La bicicletta Bianca
davanti alla luce che t’afferra.
Lei non può entrare nel parcheggio
della mente. Lei non può attenderti.
I colori in lei si assommano. Mille. Mille.
Tu rimani con la bicicletta Bianca
davanti al mare. Come in sogno
guido un triciclo rosso.
Non ha pedali per arrivare lontano.
Si impiglia l’adolescenza in questa catena
di morchia nera e di rena.
In questo silenzio ho costruito la sua assenza.
Eri bella. Bella davvero.
Portavi per te solo Renato in sella.
Un fiore sull’ara degli dei.
Da Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita
A cura di Michele Bordoni (Interno Poesia 2022)
Da Atlante senza nome del giardino
1
Io non posso dire quale giardino sia mio
o tuo. E in questo atlante senza nome
del giardino siamo forse già stati affidati
alle cure dei posteri. Ma io conosco il giardino
che mio padre teneva intatto con gli iris
ciascuno separato in gruppi blu e bianche
schiere. Quando levandosi uno a primavera
più giallo del sole. Nel bianco si sentiva
il fremito dell’età giovane. Ed io sire nell’oro
sfilavo fra i bianchi alfieri con gli elmetti.
Padre non estirpare da quella schiera l’iris
giallo. Non far sì che ciascuno sia tra sé
e sé intollerante. Lascia che io adorando
lo veda in uno stuolo beato fatto di brina.
Il giardino se fiorisce non ha male. Il tuo
bene fa sbocciare ora lo stelo dell’iris.
2
Iris come se piovesse. Una boscaglia di spade
di Toledo luccicanti. Iris che si stringono fra
l’erba che li infesta. Iris allineati uno accanto
all’altro come in un campo dove ci furono
i soldati a riposare nella morte. Corpi trafitti
da iris d’acqua di cenere di piombo. Come
tante lance mi persi un giorno in un ossario
azzurro chiaro. Come tante tibie fiorite erano
i compagni che stavano in campo di prigionia.
Allora mi appartavo dietro la casa nel garage
mentre ibridando per steli e steli e per semi
e semi. Volevo ottenere l’iris che fosse rosso
come la stella. E mescolando i geni e i gameti
e i pistilli. Io non ricordo più che cosa feci
per ridarvi un cuore rosso e palpitante. Io sì
ti ridetti vita campo dei miei compagni morti.
3
Gli iris per passare in pace. Saranno stati
diecimila con le bandiere color degli iris.
Come tanti guerrieri che in spalla non tenevano
fucili ma iris di sette colori. Così trapassando
nell’Aldilà vedremo le stesse scene di ora.
Solo che i fiori si sprecheranno. Ma io non so
se coltivando iris dovunque. In conche
bidoni vasche tu volessi rendere omaggio
alla madre che in cielo ti vedeva. Quando
in una cosmogonia precoce rendevi grazie
ad Iside. Era il nome di tua madre. Ma piantando
gli iris forse tu volevi ritrovare il suo corpo
disperso. Iris gialli il fegato. Iris d’arancio
il pancreas. Iris blu i polmoni. Iris verdi le vene.
Iris viola le labbra. Iris d’indaco i suoi occhi.
Padre padre padre nel giardino innamorato.
Da Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita
A cura di Michele Bordoni (Interno Poesia 2022)
Da Rosso degli affetti
Forse abbiamo sentito amici i girasoli perché i compagni
erano morti di peste rossa. Hanno foglie assottigliate ora
tante ali storte e grinzose. Di volare non danno segno.
Girano il volto per baciarsi dietro la schiena. Sono secchi
dall’estate che poca acqua ha amato. Sono diventati i relitti
da cui non spremere più olio. Ci siamo sentiti vigliacchi
ormai dentro la terra. Insignificanti scheletri storpiati
in rettangoli lunghi. Esposti allo sguardo indifferenti.
Nudi non possiamo più farci nemmeno il segno della croce.
Coltivati fuori dai cimiteri siamo ciò che ogni guerra
vorrebbe tacere. Siamo l’eresia di ogni anima. Abbiamo
le mani legate dietro la schiena. Piantati in terra. Mulini
senza pale che girano. Per la Mancia della Toscana.
Resti di fede umana. Siamo rimasti intatti dalla raccolta
di ogni anno. Girasole è ciò che non possiamo osare.
Quando l’infamia ci stringe alla gola e poi restiamo
muti senza confessare agli altri che lentamente il male
ci guarirà. Ci stringerà una ghirlanda alla gola. Intanto
passa e giriamo la testa verso il sole mossi dal desiderio.
Siamo puniti per il nostro ardore. Ma siamo ancora
emarginati da ogni raccolto. I contadini ci lasciano
seccare dentro noi stessi. Fusti neri corolle nere. Furia
che più santifica un lager. Sono i nostri sogni disseccati
prima ancora di giungere maturi al raccolto. I nostri
sogni chiusi alla speranza. Siamo eroi gettati fuori da ogni
romanzo a lieto fine. E la luce che più ci ha dissetato
ora ci secca dentro l’erbario. Il cielo torvo prima di ogni
pioggia. Collezionati dai contadini siamo le installazioni
all’inutile vita diversa. Siamo fuori da ogni competizione.
Una folla immensa attende immobile di risorgere
nel rosso. Le ali non ci furono fatte perché sono inutili.
Le speranze per librarci via. Voi ascoltate chi ci mancò
di rispetto passandoci accanto e restando indifferente.
Sono orribili le nostre teste. Sono ingranaggi di rasoio
elettrico che rade i capelli. Campo di girasoli giriamo
ognuno da solo perché il sole non ci guarda. Resta
improvviso il cristallino di foglie verdi che è vetro.
Solo i colori scomposti dai nostri occhi risorgeranno.
Il rosso darà colore alle nostre guance esangui come
il fard numero tre di Helena Rubinstein. Ma forse non
la nuda anatomia risorgerà dal fondo rosso dei girasoli.
E sarti prenderemo ancora le misure. Di nuovo occorrerà
una camicia rossa per salire in cielo. Ottanta per sessanta.
Maniche lunghe cento. Sarà ancora andare dal sarto.
Sentirsi imbastiti da mille spilli che tengono su l’anima
prima che voli via. Risorgeremo tutti rossi dai girasoli.
Da Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita
A cura di Michele Bordoni (Interno Poesia 2022)
Da Consegnati al silenzio
Spettrali riuniti
(per Francesco Guccini)
Le luci che si accorciano. Inesorabile potenza dell’istante.
Qui riuniti babbo nonno figlio nipote. Mozzi nomi
d’organi virus e batteri. Tutti consegnati al silenzio.
Uno reduce da guerra mai finita. Uno da una ragioneria
di conti a contadino. Uno chiamato fuori dalle malattie.
Uno compromesso in vita dalla poesia. A spiedo tutti
consegnati al tempo dei relitti fatti caino per teatro.
Dove figlio e nipote insieme. Paolo e Fabrizio riportano
in vita gli altri dalla disfatta. L’ansia di comprensione
portare a compimento una missione. Alzarsi al cielo
o abbassarsi nelle viscere della terra. Immedesimarsi
nell’amore. Diventare arte. Trasformare tutta la carne
in cera. La cera in pietra. Pietra della Pazzia. Trovare
un coro di misericordia. Un punto di carità condivisa.
Alzare le braccia per vittoria al traguardo. Ma poi
capire che la gara era truccata. E allora sarebbe stato
meglio rimanere tutti al palo. Più che altro consegnati
al silenzio vivere assordati nel nulla issato in un fiore.
Da Peste e Guerra. La poesia non salverà la vita
A cura di Michele Bordoni (Interno Poesia 2022)