Giovanni Zampi

Sono nato tra Arezzo e Siena. Insegno Lettere nella scuola media. Redattore della rivista di poesia “Titus” ( 1984-1992), tra gli anni ’80’ e ‘90 del secolo scorso ho partecipato a diverse letture e convegni; ne ricordo alcuni: Padova “Un fiume di poesia”. La stagione dell’ “Intimo”. 1987-89; Milano, caffè letterario Portnoy (introduzione di Roberto Mussapi); Bologna, al “Teatrino del guerriero” su invito di Roberto Roversi; Firenze: Gran Caffè Giubbe Rosse, relatore nella rassegna “Riviste come funghi. Confronti tra riviste italiane  di letteratura”; nel 1987 relazione al Convegno Nazionale Riviste di Letteratura “Inventari”, Comune di Figline Valdarno. Per l’assessorato alla cultura del Comune di Arezzo ho organizzato, sempre nello stesso torno di tempo, varie manifestazioni culturali tra cui “Dai trenta ai Quaranta”. Letture di poesia contemporanea con la partecipazione di Roberto Mussapi, Pier Massimo Forni, Alessandro Ceni, Mario Baudino, Giancarlo Pontiggia ecc. Per venire a tempi più recenti, nel 2011 leggo poesie  alla IV edizione de “Il Porto dei Poeti” (Cesenatico) diretta da Stefano Simoncelli e Walter Valeri in collaborazione con Università di Bologna et al.; sempre nel 2011, lettura di poesie nella sala consiliare del Comune di Arezzo. All’inizio del 2013 esce, presso Italic-Pequod (Ancona), la raccolta di poesie “Qui è sempre inverno”. Segnalo la recensione di Matteo Fantuzzi sulla “Voce di Romagna” del 29/07/2013. Il 10 aprile 2014 ho presentato “Qui è sempre inverno” all’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli in occasione della  rassegna “Poesia dal vivo. Incontri con i poeti” promossa dal Corso di Letteratura Italiana  tenuto dalla professoressa Silvia Zoppi. Sto lavorando a un nuovo libro, probabilmente per la stessa casa editrice anconetana.

Brennero


Ora stai fresco – qui leggo i fondi del caffè
e vedo che nel fondo dell’anima tua corrono
 gli autotreni – ti telefono dal Brennero
da una postazione fissa in quota, dove
l’habitat è disabitato e anche se non si usa più
ti telefono lo stesso con le monete da duecento
che mi sfondano le tasche – ti telefono
archeologicamente, e c’è pure un certo
rischio: sono qui uomini in tuta coi picconi 
e sfondano il terreno intorno – ti telefono
nel tremolio del filo, nella tempesta di colpi
alla comunicazione – nei fondi del caffè
vedo la postazione trascinata al museo
della frontiera e le monete che precipitano
costanti: parlare costa, ho ragione?
Ma è l’aria di quassù che più mi colpisce
l’aria che trascolora e si flette, che
mi sembra stanchissima. Allora lancerò
lontano la schifezza dei fondi del caffè
 e dell’anima che se c’è batte un colpo –
stai tranquillo, ti dico: al chilometro zero
sono io il museo. 


Da Qui è sempre inverno

Divano di madreperla


Lasciamo passare la notte con te sdraiato sul divano di madreperla e io che parlo alla fosforescenza del sonno – domani tra le lattine e l'odore di carta bruciata – domani nel principio del mattino l'angelo del giudizio indosserà ali di madreperla e uno sguardo di specchio che parla oltre il suono alle vene.
Lasciamo passare il giorno con me sdraiato sul divano color di pece con te che parli al pulsare nero dell'insonnia e nessun angelo suonerà le trombe del giudizio. Stai immobile come un’idea, io dico.

Da Qui è sempre inverno

Aborigeno


1.
   L’uomo era grumoso e la fatina anche
   tardava a venire.


2.
   Se non fossi di queste parti – pensava
   l’uomo – soccomberei a tutte queste 
  superfici. La chioma della quercia,
  l’ombra dipinta al suolo, il trascorrere
  stesso dell’estate o il profilo
  sdrucciolevole di lei.
  Tutto a portarmi via – se non fossi,
  come ho detto, di queste parti.


3.
 Pertanto, agiva tra  cose
  conosciute: pareti scabre,
  interrotte da schianti d’assestamento
 e motilità periodiche di ombre
 dietro i panni stesi all’ascensione
 del cemento –
 finché un’ultima, sopravvivente luce
 mutilava sottovesti e anima.
                                                                  
4.
Se tirava su gli occhi al nuovo cantiere
lo vedeva innervarsi nel vuoto aereo
del mondo. Ecco – mormorava
soddisfatto – sempre più in là
sempre più in là, il chiaro.


Poi


5.
Quando la Toscana abbracciò
l’ampia varietà del grigio,
lui, semistordito dalla lunga
monotonia meteorologica, si stese
a terra: fece orizzonte –
a se stesso.


Alla fine


6.
Il mondo gli rimbalzava, se possibile,
sulle terminazioni nervose nel moto
continuo di minuscole particelle –
soffiavano nell’atmosfera cerebrale
pensieri ferro-compatti. Diceva
eccomi, il mondo.


Così


7.
Rimase impigliato durante il pervasivo
novembre su una mezza citazione:
il confine con il resto della vita
e gli venne incontro la splendida
vetrata da cui scrutava la natura
stanca e perfino il mare aperto
che da lì proprio non si vedeva.
Pensò che il suo sguardo fosse privo
di distanza. Sciolto – nella pasta
del vetro.


Determinato


8.
 Nuoterò ancora attraverso l’inverno
- come un Ulisse meteorologico
ne verrò a capo dalla parte 
opposta. Fuggirò valve disabitate
e piene di pioggia, portando
la nebulosa del mio corpo
al movimento laterale della spugna.
Presto sarò sulla terraferma.


Questo e altro in gloria stabiliva


9.
 L’altro si avvicina nel tempo presente.
Porta gioia non porta gioia – siede
con i palmi delle mani premuti
sui ginocchi e guarda il naufragio
della possibilità: se corrisponde
ogni traccia al tracciato, ogni vita
al vissuto.


Da Qui è sempre inverno

Posti


Bisogna vederli i posti. Che si chiudono 
che si allargano come macchie luminescenti
o si cancellano dopo una sera – questa per esempio – 
breve d'inverno. E poi che non sono mai gli stessi quelli
a cui si torna, penso. Non dico di sterminate partenze, 
dico che basta lasciarli appena.


Da Qui è sempre inverno