Romana, si è laureata in "Archeologia e storia dell'arte del Vicino Oriente antico", presso "Sapienza Università di Roma" sotto la guida del Prof. Matthiae, e ha poi conseguito il Dottorato di Ricerca in "Archeologia Orientale" nella stessa Università, con una tesi su “L'iconografia degli dei nella glittica paloesiriana”. Ha poi conseguito un Master di II livello in "Architettura per l'Archeologia - Archeologia per l'Architettura" per la valorizzazione del patrimonio culturale. Per lunghi anni ha partecipato alle annuali campagne di scavo a Ebla in Siria, in qualità di membro della "Missione archeologica italiana a Ebla". Ha conseguito poi una seconda laurea in "Storia dell'arte". Presso "Sapienza Università di Roma" tiene annualmente corsi sul rapporto tra l'iconografia e il testo nella tradizione mesopotamica. È autrice di pubblicazioni a carattere scientifico e consulente nell'ambito di diversi progetti archeologici dell'Università e del Comune di Roma. Si è specializzata, inoltre, in Discipline Analogiche, attraverso lo studio dell’Ipnosi Dinamica, della Comunicazione Analogica non Verbale e della Filosofia Analogica, conseguendo il titolo di Analogista. Pratica quindi una professione di aiuto per la lettura e la decodifica delle dinamiche emozionali profonde, in grado di promuovere un efficace livello di comunicazione tra l'istanza logico-razionale e quella analogico-emotiva, che consente all'individuo di sbloccare disagi, uscire da difficoltà relazionali, schemi ripetitivi e di orientare la vita a un rivoluzionario benessere. Da diversi anni è operatore certificato di Psych-K. Ha, inoltre, inventato il Noli me tangere®, uno strumento di aiuto fondato sulla metafora e sul potere evocativo delle immagini. Nel 2008 ha pubblicato Sorso di notte potabile, ed. LietoColle, e Dentro, ed. Pulcinoelefante. Nel 2013 ha pubblicato Frammenti, ed. Pulcinoelefante. Lapidarium è uscito nel 2015 con l'editore Puntoacapo. Del 2016 è Semiotica del male, Ed. Campanotto. Suoi testi letterari sono presenti in numerose antologie, italiane e straniere. Ricordiamo la recente antologia 42 voci per la pace, ed. Nomos. Suoi testi poetici sono stati tradotti in spagnolo, rumeno, coreano e inglese. Un’ampia sezione del libro “Semiotica del male” tradotta in inglese è stata stampata, nel gennaio 2017, sulla rivista "Journal of italian translation" curata da “Department of Modern Languages and Literatures”, Brooklyn, New York.
Ha collaborato con la rivista “Qui Libri” e collabora con diverse testate giornalistiche. È stata selezionata fra i giovani poeti italiani contemporanei per il Bombardeo de Poemas sobre Milán, opera del collettivo cileno Casagrande. É membro e delegato per l'Italia del Liceo Poetico de Benidorm.
È tra i fondatori e gli ideatori del “Grand Tour Poetico”, della “Freccia della Poesia” e del movimento culturale "Poetry and Discovery".
Foto di Angelo J. Zanecchia
Quando mi abitarono i viventi
nelle doglie di Dio
e un coro di semi nella culla minerale
filava la mia pelle di tempoluce
quando mandrie di alberi mi correvano dentro
e l’alfiere sellava il fuoco indomabile
del mio regno smisurato,
nei solchi del mio corpo
un Santo rincasava la bestia
sorridendo nella mia bocca.
Da quale litigio di angeli
è parlata la mia voce levigata?
Quale funambolo sta in equilibrio
sul mio cordone ombelicale?
Chi è in pellegrinaggio nel mio passo?
Un esercito appicca visioni spiritate nell’ippocampo
e un naufrago sulle rive della mia assenza
sta sognando la mia vita adesso.
Ci incontriamo talvolta io e il guardiano della mia vigna
quando ara più gioia di quella che possa contenere,
mentre un centauro con l’arco di marmo
tira al bersaglio con il mio cuore.
A volte le mie mani sono zampe che
artigliano gli infiniti e
una delle cento respira la mia clessidra
e scrive le litanie dell’acqua,
mani vedove in me scavano volti e seppelliscono idoli
fino a quando le leggi intere avvolgeranno
le conifere della memoria
e tutte le mie creature corpo a corpo
precipiteranno in una, sbucciando il buio.
In un'unica somiglianza disarmerò il destino
sarò spoglia, costola di verbo,
vertebra di saliva, muscolo di vento.
Non mi basterà l’eternità per capire chi,
assassini o sirene, corsari o beati hanno
cantato, vissuto, ballato e
amato al mio posto,
nel mio petto maiuscolo,
quando mi chiamavano viva
mentre io continuavo a morire.
Lo chiamano tempo questo dramma
di attimi impilati
la chiamano vita questa sottrazione
di rosari d’istanti zoppi
che si esegue senza prove
con sguardi di sabbia
e chiese di carne sotto
i bombardamenti di pane quotidiano.
Estranei convincenti invecchiano al mio posto
ci spartiamo i copioni
le contraddizioni sul tram
gli alfabeti metallici di ogni età
che non descrivono nulla.
Vieni siediti, c’è spazio nella mia maschera
è comoda è in carne e ossa
non si sconta niente per fingere
solo l’arruolamento alla realtà
e un reato di mancato vissuto.
Per quanto riguarda me
vado a nuoto in assenze cardiache
sono iscritta al futuro anarchico
mi sto aspettando da tutta la vita per uscire di scena
seduta sul muretto a giocare a dadi con l’assenza
e vedo passare, il mercante, l’impiegato, il contadino
che si fondono uno nell’altro
aspetto il matto col cuore spettinato
per pagare la cauzione alla verità
per sopravvivere all’esistenza
che come una puttana batte
all’inferno di ogni giorno
e fa l’inventario delle vittime.
L’autore non si conosce
lo chiamano Dio
non si sa che maschera indossi.
Testo inedito
Non sai a Sparta come si piangeva in silenzio
sulla somma degli antenati Dori
dai sepolcri affollati quando
si sposava un cielo inferiore
si malediva il padre e il suo
vangelo di bestemmie
screpolato dall’uso
ingoiati nel caos teologico
sporco di circo equestre.
Il cronometro scattava e si era già in ritardo
sull’addestramento guerriero
le catene da fissare con le
mani paralizzate dal freddo
per assaggiare la rovina di un miracolo
diventare forte come un esercito
una donna forte come un esercito
con l’orchidea schiacciata in pugno
a un passo dall’immortalità.
La pietà nucleare chiedevo
di poter piangere e gridare “riposo!”.
Avrei voluto una zattera di mandorle
ricoverarmi in un bacio.
Ma a portata di voce solo il silenzio
marciavo, la testa bassa
c’era un nemico da sconfiggere,
ero io.
da Semiotica del male, Campanotto 2016
Mi dava pena saperti lì sola
seduta in fondo all’Universo,
sembravi un nome vergine ingrandito da ore malridotte.
Ho partorito l’umanità nei boschi dell’indifferenza
quando rovistavo nella vertigine del cielo come in un cassonetto.
Poi ci sorprese l’amore
e sotto quel cielo guasto
noi tacevamo nella stessa lingua.
da Semiotica del male, Campanotto 2016
S’affannava la ragione
divorata dalle irriconoscibili Flaminie
nella discendenza spettrale dell'icona travestita
aravi i capelli e spacciavi la bocca per ginestra
sul sangue nero dei rivali
l’apnea dei miei genitali distratti
tramandati in battaglia
per un sacramento amaro.
Bevi l’erezione calda con cui batti
le donne che affollano il mio corpo
nel mio letto incoronato dall’incendio.
Siediti accanto a me ora
fammi un segno di frumento sulla croce
recito il breviario blasfemo della perdizione.
Io sono condannata a vita
da Semiotica del male, Campanotto 2016
Sono l’artiglieria e la pace
il convento di piume
l’allegria di terracotta
dove digiuna il crocifisso
sono l’angelo ubriaco di dio
il pane che affama gli spettri
il bersaglio bendato di luce
sono la campana d’aria
che suona il silenzio
la schiena su cui riposa il letto
sono la preghiera che lava l’acqua
la vigna d’inchiostro
dove si vendemmia il sole
sono la mappa per perdersi
sono la mensa ripida
dove siede l’onnipotente quando si pente.
da Semiotica del male, Campanotto 2016
La pistola puntata in testa
mi chiedi di non guardarti in faccia
abbiamo scherzato
come il signore col servo.
Allora Tu sei sempre stata i miei occhi condannati
come una coda di cometa
e mentre mi inginocchio,
guardo il bracciolo della poltrona, penso
quanto ci metterò a tornare alla mia tenda con un colpo solo?
Coriandoli di carne come papaveri sul pavimento
la pace sarà radunata nella fortezza delle mie ossa
dispersa come sabbia in un numero di luce
e ogni cosa sarà posata in me.
Saprò il giorno tagliato d’invisibile
procurami un angelo per il mio grembo rotondo.
Poi penso a quel volto incappucciato come a un uomo
a lui che grida appena nato in braccio a sua madre
è la vendemmia dei girasoli all’inferno
il perdono è avverare l’aria.
In armature di padre in figlio
quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto.
da Semiotica del male, Campanotto 2016
D’olivo il sonno, ammainati i sensi in emorragia di millenni.
Disfare la maglia al dormir sacro,
tunica di deserto senza orlo, castello d’ossa fortificato di bianco.
Girasoli d’argilla gli ingranaggi delle tue pene,
grondaie di polvere il volto, lacerata la stesura del divenire.
Sfondi di sguardi, questi gusci di conchiglie vuoti,
appassite le carezze nelle tue mani di felce.
Io svuoto il cranio, col pennello smonto l’edificio della ragione,
spire concentriche di depositi cerebrali, fondali marini,
labirinti di vene polverizzati, trasformati in qualità dell’abisso.
Dove la carne è inadempiente si imita forse la vita
o si finisce ad amare in abbreviazioni.
Penso agli ultimi istanti quando lo sguardo in avaria
dilata lo spazio e lo lascia cadere sul fondo.
Parlami del viaggio che mi attende,
in quale rotta ti sei moltiplicato.
Siamo meteore, dopo l’inganno del tempo cosa resta?
Un passo e sei una tacca nel mondo minerale
dove finisce l’effervescenza delle emozioni.
Ho versato boschi sulle catene della mia fede,
sono interrata in ogni latitudine,
in un passato non ancora trascorso stivato nel tempo,
ma non sono mai nata.
Andrò come sole alla guerra, col vento in poppa
convergerò in quel naufragio.
Quando sarò radice, datemi l’inferno
ma lasciatemi nel diametro del mio sentire.
da Semiotica del male, Campanotto 2016
Siete tutti traditori con le parole contate
avete piantato i coltelli nella mia schiena
voi che dovevate essere i migliori
mi avete sterminata nei vostri roghi di verbi
siate scomunicati dalla mia carne.
Siete tutti traditori con le mani levate
come Mosè quando Israele vinceva.
Vi siete impadroniti dei confini orientali dell’Impero
avete decapitato la mia statua
mentre marcavo il coraggio degli avversari
come vino antico bevuto da un’urna.
Siete tutti traditori con le parole contate
mi avete bruciata in un lembo dannato del vostro pianto.
Avresti mai detto che nell’edificio giusto dei miei occhi
avrei ospitato il vincolo apostata delle ossa
le catene di sangue rinnegate
destinate dal nome
franate premature in un sudario di sogni?
Non c’è più Dio in quest’attesa ad afferrare battesimi.
L’arcangelo possente spalava la scena
lanciava in aria l’estremo delle vostre menzogne
ma la spremitura di esse in una mano
che al tatto obbediva e cresceva peso
e nell’altra il fulmineo impennarsi della sua fragranza
scandivano il contrappunto del tremendo.
Fa presto Dio
a venirli a prendere appena nati
dai loro troni di latte
annegali nella pazzia
impiccali verso il cielo
nelle piazze delle loro maledizioni sottovoce.
Dammi un’ora sola, l’ultima
per farmi il segno della croce sulle rovine di Sodoma
rovesciare i sacramenti sul mio cuore appagato
strappare il velo all’amore che non ho udito
sulle mani calde che non mi hanno accolto.
Fai leva sulla mia creatura
con l’elmo di Gerusalemme
ubriacami di sete
indosserò una bocca beata
che riderà anche di te.
Luciderò col Mandylion
la mia corazza eretica
ad arte la luciderò, che accechi
chi provi ancora a guardarci dentro.
Amen.
da Semiotica del male, Campanotto 2016
In Oriente c’è una città tutta bianca, imperlata di polvere, con un’indole nobile e allegra, perennemente innamorata.
È una direzione del mondo in cui non mi fermo mai a lungo, ma che mi sta particolarmente a cuore perché bersaglia la mia anima con l’allegoria dei miei desideri.
Potessi afferrarla, indebolire la sua imprendibilità, la farei mia, ma essa rimane lì riparata dagli anni come una tentazione che non scompare mai.
Qui come simboli onirici procedono superbe donne nerovestite con pacchi in testa, uomini dai turbanti bianchi sgranano il rosario invocando i novantanove nomi di Allah. Un uomo che non ha né fratelli né sorelle ha trovato rifugio nella deformazione del suo corpo, da terra raccolgo il suo sguardo celeste, interrogativo, avvolto in un panno bianco.
C’è un gruppo di vecchi accanto alla moschea, a loro la città ha giurato il silenzio e vivono vestiti di immaginazione sepolti nelle loro giornate occulte.
Poi d’un tratto l’urlo dissonante dei muezzin invita alla contemplazione e prende al laccio i miei sentimenti.
Nell’ex manicomio simile a un talismano, che spunta tra fiori appassiti e saponi all’olio d’oliva, appesa alle grate albergava la follia che rideva a denti stretti e farneticando senza pietà gettava in tempesta la ragione.
Nelle gallerie del suq tra carni pendule grondanti sangue e intestini che galleggiano nelle fontane ho imparato a fare attenzione agli asini e alle loro prodezze. In questa terra si discute molto e animatamente ma la gentilezza è una logica antica che anticipa ogni desiderio.
Questa è Aleppo che meglio di chiunque conosce i tornei del mio cuore. Nella città del latte dove il presente è assente sono stata felice per me stessa di una gioia senza condivisione.
Quando la forma naturale della notte poi si adagia sulla cittadella, ad assolvere la rota del principio creatore, la materia riposa e riordina le sue contraddizioni.
Allora come presa in un incantamento mi addormento su quella città e libero la mia fantasia.
A volte penso che non esista affatto, poi guardo il palmo della mia mano e sono sicura della sua esistenza perché, tu non ci crederai, ma nel ripetere il gesto interiore di afferrarla, lei rarefatta e veloce si dileguava, ma per un moto di gratitudine che le è proprio, mi ha lasciato la sua suggestione impressa qui, nell’ordito della mano.
da Sorso di notte potabile, LietoColle 2008
La realtà è un’allucinazione condivisa.
Chiedere che cosa sia la poesia è come chiedere se la tela
di Penelope fosse filata al dritto o al rovescio.
Aspettami, sarò inaspettata.
L’universo è asimmetrico, il talento di Dio è l’imperfezione.
La voce è il numero civico dell’anima.
Cosa aspetti a ingrandire del litro l’ampiezza?
Tutte quelle volte in cui il drago uccide San Giorgio.
Dogmi e tabù sono forme di stitichezza culturale.
La gentilezza è la corona dell’uomo.
Le idee dentro di noi diventano marmo quando la possibilità si posa.
La parentela è una detenzione genetica.
da Lapidarium, Puntoacapo 2015