Elisabetta Pigliapoco, poetessa e saggista, è nata nel 1972 a Jesi (AN) dove insegna materie letterarie nelle scuole superiori. Vive a Monsano (AN). Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro di poesia, La luce di taglio, Archinto.
E’ anche autrice di saggi, tra cui ricordiamo la prima monografia dedicata al poeta e narratore Massimo Ferretti: Fuori dal coro. L’opera di Massimo Ferretti, peQuod, 2005. Ha curato insieme a Maria Cristina Casoni il volume La terra e le stagioni. Il modello marchigiano nella letteratura contemporanea, Fernandel, 2003. Nel 2006 ha firmato insieme a Massimo Fabrizi il capitolo Novecento del volume Introduzione alla letteratura delle Marche, il lavoro editoriale. Nel 2010 ha curato per peQuod la raccolta di saggi dedicati alla poetica del luogo, Patrie poetiche. Luoghi della poesia contemporanea. Collabora alla rivista Pelagos ed organizza eventi e incontri di poesia e narrativa contemporanea.
fili d’erba gialla
scolorano il giardino.
Del prato ogni resistenza
vana al passo consueto
che lo abita.
“novembre ti sarà lieve
se conservi il tepore del giorno”
Ma dentro s’alza
un vento impercettibile
come quello che alla sera
agita i bambini
e li fa piangere.
da La luce di taglio, Archinto 2018
Avevi scelto un posto
dove tutto fosse chiaro.
Ne avevi scelto uno
in piena luce,
arrivava forte, decisa.
Tu eri lì, al centro,
solo aria ferma intorno
a sigillare il pensiero.
Era così facile
individuare la linea del sole
ne scorgevi l’impossibile stasi
a separarti dalla casa, dalla sua ombra.
Era dolce l’illusione che per una volta
la notte ti avrebbe risparmiato.
da La luce di taglio, Archinto 2018
La tela perfetta asseconda
la corrente ascensionale
s’incurva, cede il fianco
ancorata al mattone, al soffitto.
Inosservata, danza lieve
sottile membrana amniotica
protegge, si fa polvere.
Con la camicia nascevano i bambini
evento raro, beneaugurante.
Proteggimi ancora,
aderisci a questa pelle secca.
Entra il vento.
Niente è più al suo posto,
sventrato è il sacco,
siamo tutti fuori
esposti alle intemperie.
Ma tiepida e leggera sale l’aria
e la camicia sventola al sole,
il ragno è lì acquattato
sa aspettare.
da La luce di taglio, Archinto 2018
L’equilibrio è un taglio orizzontale
tra la gola e il petto.
E’ la bolla d’aria ferma
in mezzo alla livella
quando neanche il respiro
è più certo.
ho trovato il mio centro nella goccia
che scavava la vena all’avambraccio
ho vomitato in dodici ore interi
i miei sedici anni e qualche giorno
L’equilibrio ce l’ho stampato
in faccia, come una smorfia
serra le labbra in un sorriso
distilla sagge sillabe e poche.
le borse sotto gli occhi di mia madre,
lo sguardo senza più orizzonti
per sempre vinto, riflesso nello schermo
acceso su un Sanremo senza gloria
Ancora oggi resta l’ossessione
la mano che passo tra i capelli
indice e medio a misurare
il venti per cento di speranza,
l’ho sciacquato tutto nella vasca
col rasoio ancora tra le mani
Equilibrio, una forma d’attesa
stand-by senza scadenza
tra vertigini e voragini
certe.
c’era l’ossigeno che entrava dalla porta
spalle forti e viso da bambino
col giubbotto scuro, l’incoscienza
del sorriso. Diceva già domani
il dolore di mio padre non entrava
spuntava la sua testa dalle scale
si appoggiava muto alla finestra
la mano apriva, in segno di saluto
da La luce di taglio, Archinto 2018
La schiena inarcata
tese le gambe si allungano
a cercare la spinta
la vertigine dell’altezza.
La testa si piega all’indietro
nessun abbandono
vigili i sensi, serrate le membra
nello sforzo esatto del vento.
Raggiungere il punto fermo
la verità, la pienezza
all’ombra del fogliame verde cupo
e l’ultima foglia
toccata appena, vibra leggera.
Ti guardo.
E’ pena e tenerezza.
Come dirti il colpo del vuoto
il vento sulla nuca, la discesa
quel cielo perso, la terra più vicina,
il principio, di nuovo?
da La luce di taglio, Archinto 2018
La città senza pianure
ha attraversato il mio cappotto.
S’è fermato a guardare il vento
le luci di là dal ponte
appese al nero della terra,
vibrava e non aveva pace.
Era un cappotto largo,
si apriva alle folate
come una gonna
in un giro di walzer,
io ci nascondo il mondo
anche te, amore mio,
stretto dentro il vento.
Ho infilato i bottoni
avvolto la sciarpa
tra passi e l’eco di una valigia
che rimbalzava tra le mura.
Ma la città è crudele,
ha squarciato la tela
solo un vento molesto è rimasto.
Non è colpa mia, avevo stretto bene.
Forse sei ancora sul parapetto alto,
guardi, cerchi quel nero,
le sue luci o magari i fidanzati
e li invidi un po’ nei loro gesti
piani e familiari.
Forse ti ricordi una tramatura liscia
e tu a perdere l’appiglio sui fianchi
a scivolare coi palmi aperti,
lo so, non hai stretto, sì lo so.
Chi passava ha visto un cappotto nero
e qualcosa cadere.
da La luce di taglio, Archinto 2018
E’ il mio albero a salutarmi
agitando foglie d’un giallo sorridente
chiama la luce alla fatica estrema,
il sole non guarda,
scivola dietro il tronco
s’appoggia alla crepa vecchia
(quella che arriva al primo nodo)
ignaro della sua vana felicità
e della mia.
da La luce di taglio, Archinto 2018
Cosa dire di me
che nello specchio del vetro zigrinato
cerco le linee d’un volto ormai celato
il muro di pioggia
innalzato stamattina nella piazza
faceva rimbalzare le sue gocce
in direzioni mobili ed arcane
rendeva il mio sgomento frastuono
e i tamburi che squassavano il cielo
ripetevano per spazi indefiniti
la smorfia del volto imbambolato
di chi capisce d’essersi perduto
da La luce di taglio, Archinto 2018