ANNA BUONINSEGNI, di origini toscane, vive a Gubbio, in Umbria. Ha pubblicato i racconti “Pagine dal mare” (Arnaud, 1989), le raccolte di versi “Itinera” (Arnaud, 1992), “La stanza di Anna” (Crocetti Editore, 1997), prefazione di Mario Luzi (Premio Nazionale “Alpi Apuane”, 1998), “Ad occhi aperti” (Crocetti Editore, 2005) con prefazione di Mario Luzi (Premio “Città di Alghero” 2005), (Premio Internazionale “Torri di Quartesolo” 2006), ”AnnAlfabeti – impronte di linguaggi” (Edizioni ‘unaluna’, 2010) con incisioni di Walter Valentini e prefazione di Maria Luisa Spaziani (Premio “Suio Terme” 2011). Nel 2000 ha vinto con la silloge “Senza anestesia” il Premio Internazionale “Eugenio Montale”. Nel 2005 è stata una degli autori di “Isola della poesia”, progetto curato da Marco Nereo Rotelli nell’ambito della Biennale di Venezia e nel 2011 è stata invitata da Antonio Presti in Sicilia alla Piramide - 38° Parallelo per le letture del ‘Rito della Luce’ (Solstizio d'estate 17 - 21 giugno). E’ promotrice culturale ed è presidente del “Centro di poesia e letteratura Oderisi”, riferimento della cultura letteraria umbra, con le pubblicazioni delle antologie “Anni ’80 – Poesia italiana”, Jaca Book, 1993 e “I sentieri della notte”, Crocetti Editore, 1997. E’ presente in varie antologie nazionali ed internazionali, collabora a riviste letterarie e coordina cicli di incontri di letteratura e poesia. Cura per l’editore Crocetti la collana di cd “Voci della poesia contemporanea”, tra i quali MARIO LUZI, ALDA MERINI, MARIA LUISA SPAZIANI, FRANCO LOI. Sue poesie inedite sono uscite nell’Almanacco dello Specchio 2009, edito da Mondadori.
legione sterminata
siamo
vespaio celeste
nel petto delle stelle
amanti folgorati
dal candore fatto bersaglio
Abelardo e Eloisa
Camille e Roden
Paolo e Francesca
Dino e Sibilla
abbiamo costruito prigioni
disarmate
e rispondiamo
quando ci disegnano in miniatura
nella lunga strada
di pagine bianche
e ci chiamano
la parte sbagliata dell’amore
non ha centro questo universo
non ha tangente
questo blu
chiamato mondo
nella docile clausura
della carne
tutta la crudeltà è
nel perpetuo nascere
fine e nife
possiedono un solo grembo
possediamo un unico cielo
nell’intero firmamento
che sia misurabile
con il compasso invisibile del lutto
dove vanno gli oggetti amati
abitati
i mobili dai fiati minuscoli
che odorano di tutti i giorni
tutto l’unisono del canto accudito
quando moriamo?
dove vanno le morti bianche
e quelle rapide rapite
le mani disossate dopo l’altrui
l’impazienza dei libri
ci abbandona
in fuga da un cumulo di respiri falciati
dopo di noi chi saprà
e continuerà il parlare che ci somiglia?
il si bemolle dell’universo
la musica fedele delle sfere
che intona i pensieri di dio
ma disconnette quelli degli uomini
che storditi
mettono al lavoro ogni presagio
per scoprire un tono
un intervallo musicale ma non
il soffice spartito
che comanda le identiche facce
del moto
l’infaticabile armonia che
compone forme e chiarezze
il si bemolle dell’universo
l’unico suono di cui dio dispone
per essere nella pancia del topo
e nel volo dell’aquila
tu parli azzurro
quando dici in mio favore
la parola
tu parli azzurro dentro
il pianto che mi spaia gli occhi
ma io sento la notte
dolorarmi all’origine
blandirmi sfinirmi
prima del mattino delicato
io slaccio dentro i sogni
li faccio svelare via
sciamano dall’intimo
tu parla azzurro e ferma
la porta girevole del mio ombelico
e sbattimi lo slancio dentro
io sento il dolore della sedia che
partorisce il tarlo
il dolore dell’erba che ferisce il bosco
il tremendo odore della vita
siamo tutti una finzione
siamo tutti nel Truman Show
pattuglie del Grande Fratello
identità di segnali impiantati
sottopelle
nella parte alta del pensiero
mentre ami oralmente il tuo boyfriend
mentre guardi il magrissimo comico occhialuto Wally Cox
se sei a Parigi e ascolti Edith Piaf
il curriculum digitale informa paziente
l’agenzia governativa
e ci puoi giurare
non ci puoi fare niente
dall’adolescenza
alla morte d’infarto
sarete insieme
zelantemente per sempre
l’unico modo per salvarsi è restare invisibili
far finta di non essere mai nati
forse i poeti hanno questo torto
di non passare inosservati
di essere incollocabili nel silenzio
al posto loro i versi continuano
ad ascoltare e qualcuno parla con toccante curiosità
forse i poeti hanno il torto delle parole
accese sul loro funerale
forse il brusio dei versi
letti da un migliaio di noi
li tiene svegli nell’eternità
li fruga nei lineamenti dei pensieri
forse i poeti non si congedano mai dai loro rapitori
forse i poeti non muoiono mai abbastanza
per vivere nelle parole che ci consumano
ha 50 anni l’isola di Surtsey
non sarebbero così beati i bagnanti
se sapessero
di essere seduti sul pennacchio sulfureo
che diritti li porta al cuore
incandescente
ultima presenza del gigante di fuoco
in piedi al centro della terra
un fischio di allarme
lì magari nel punto più preciso del costato
dove io sento le bordate assassine
dove c’è il coltello acceso
siamo universo
verso uno
mio amore apostolico
mio profitto d’acciaio trasparente
dove andranno i continenti in futuro?
7 placche di crosta terreste
7 pezzi separano pangea in fratture costali
è per questo che la crosta oceanica
si è sgretolata sotto i colpi del martello celeste?
è per questo che radioso hai solidificato
direzione e velocità
per cambiare il mio e il tuo futuro?
che i morti non ci dimentichino
che non dimentichino di sorvegliarci
nella nuda vastità della vita
che siano loro a vegliarci senza lasciare
cadere una carezza
che i morti non lascino sola
la nostra mano
mentre bussiamo alla porta
che non si spalanca
che i morti ci guardino nello specchietto retrovisore
per capire che siamo con loro
che i morti non si dimentichino
di quanto li abbiamo aspettati
dicono che la morte pesi 21 grammi
che la differenza dell’anima
soffiata via
sia una piuma in un paese di neve
allora spiegami
padre mio
perché ha il peso di un incendio
questo tuo essere senza corpo
appeso al respiro
e perché la lontananza di te
è il carceriere
che ogni giorno porta in braccio
la mia solitudine
nome di mare Ventotene
vento e catene
stringono dolcemente
la forma di piccolo animale
l’ugola dell’isola canta di notte
sotto il cielo di cinque stagioni
al cenno delle onde
un immenso spazio-tempo
pronto a levare l’ancora
a perdersi nel buio
nel corpo oceanico fondo
a cui tutti i mari del mondo
misteriosi si chiamano