Alessandro De Santis

Alessandro De Santis è nato a Roma nel 1976; laureato in Storia Moderna e Contemporanea, vive a Lanuvio, paese dei Castelli Romani dove è assessore alla Cultura.
Scrive narrativa, in particolare racconti, che ha pubblicato in alcune antologie oltre che su diverse riviste cartacee e online. Ha diretto il blog letterario Luminol ed è editor e curatore dell’omonima collana di narrativa italiana breve per le Edizioni Socrates.
Suoi testi poetici sono stati pubblicati su diverse riviste: Nuovi Argomenti, Nazione Indiana, El Ghibli, Letras, Sagarana e Niederngasse.
Ha esordito nel 2006 con la silloge: Il cielo interrato (Joker Edizioni) e nel 2013 è uscito il suo secondo lavoro: Metro C (Manni Editori); alcune poesie di quest’ultimo libro sono state antologizzate in Cile e ne è in corso una traduzione in lingua araba.
I testi de Il verso del taglio sono presenti nel XII Quaderno di Poesia Italiana Contemporanea (Marcos y Marcos).

Elettrospleen

 

Nessuno se ne accorge                                                                                                              
ma è partito     
a buie ondate un altro sogno d’oro
Città polifonica
orizzonte verticale                                                                                                                
Vibrano angeli – stelle – uomini
sospesi sull’albero dei chiodi di cielo.


da Il cielo interrato  (2006)

Maniche corte

 

D’accordo, sì d’accordo
tengo ferme le mani sul bordo
e quando piove mi metto in ascolto
Tante bulimiche variazioni sul tema
sordo ronzare di immobilità estrema
Insonne sfioro le foglie del mutamento
che cade la pelle al rigore del tempo.


da Il cielo interrato  (2006)

Graniti

 

Ore 09,20. Un lupo mannaro o forse Kappler  

Tutto il giorno aveva camminato sul ciglio della strada
contava i passi e li classificava
e poi passava agli organi, alle carni
la lingua lastricata e le sue selci
intrise del sudore del non dire
Aveva infilato le mani chiuse a pugno nelle tasche
ed era risalito sin dentro alla campagna
Fatto inventario dei pali dei filari
piantati come croci, sporcato la punta
delle scarpe nello stabbio
Ore ed ore si era soffermato,
intere ere geologiche e crisi di governo
prima di vedere quella farfalla posarsi
sulla rete metallica del suicida
Senza dote di stelle lo raggiunse brusca la notte
gli aprì la bocca come a prender fiato.
Vide l’esatto diametro del cuore umano
e pensò che fosse proprio una bella
giornata per ricominciare, per un attacco aereo
negli occhi ancora il rapinoso schianto di quando
quel ponte se n’era sparito ghiotto.


da Metro C  (2013)

Torre Maura

 

Ore 10,35. Sguardi ottimisti. Un insolito vento

L’uomo senza braccia
non cerca appigli
l’uomo senza braccia
ha sporte che gli pendono dai lembi
muove il mento
come a voler dire qualcosa
il volto smunto
povero di peli
un tipo biondo lo fissa
segue con lo sguardo
la sua ellittica geometria
un uomo – si sa – esige dei legami
non ha motivo d’essere
quell’albero potato,
senza rami.


da Metro C  (2013)

Alessandrino

 

Ore 23,48. Sbeffeggiare Jonkind lo sciocco

Profumi sofferti
La lingua lastricata di stazioni di carne
muta e da brodo
salate le lacrime, avvolte nello spago
spesso, vinto nel nodo
nell’abbaglio del fitto
che assale una rinvenuta
frontiera di punte di spillo e mosche.


da Metro C  (2013)

Villa San Pietro

 

Ore 11,05. Un fumetto. E un bambino col gilet

Ha paura la mattina, Jacopo
sente che l’abisso gli frenerà il respiro
ha paura che i nipoti vivano
impotenti, con un vulcano sotto i piedi
e macchie grosse così sulla pelle.
Non vuole pensarsi depresso, Jacopo
pronto neppure per dieci
euro sgualciti nella tasca.
Cammina e urla, e gli dispiace,
ma urla così piano che lo strano
frutto che ha appeso al cuore, non
oscilla neppure un po’.


da Metro C  (2013)

Giardinetti

 

Ore 16,30. Al sole tra polvere e zanzare

Su una panchina
nel parco a pochi passi
c’è la signora Ida
seduta, ferma immobile
Lenta come un pavone
muove l’unghia pittata ad indicare
com’è che vuole il taglio
allegra la rumena
le apparecchia intorno al collo
le guance un po’ arrossate
La gita fuori porta è cominciata
la tavola imbandita, anche stirata
Si gioca a fare i ricchi, pomeriggio
ché appena cala il sole
il gioco finisce
le donne vanno a casa
in ritirata,
attente a attraversare sulle strisce.


da Metro C  (2013)

Giochi istmici

 

Ore 12,22. C’è pure la lirica. Le scarpe scendono

Sei, i gradi di separazione
tra un trivellatore e un centurione
e ferri, cocci, e materiali
Si scava verso un fondo
che fondo non è mai
e quando il gran lavoro
(s’) appressa al taglio-nastro,
ossa e occhiaie vengon fuori
e la gente scalpita,
mescola da bere col ricordo,
in un banchetto scomodo,
dove il rumore di fondo è un
ballo felice e rovinoso.


da Metro C  (2013)

Il piano verticale

 

Sull’orizzonte di legno
una torre Eiffel di sali colorati
e un opossum che dimentico sempre di salutare.
La ragazzina del piano di sopra
piove gocce di mercurio
dalla fronte, mentre suona canti
liturgici con l’insistenza del venditore
telefonico, della ghiaia rimestata.
Vorrebbe laccarlo di rosso
come un giorno di gioia
Morta la meccanica può
sentirsi fortunata, la musica di benvenuto è pur
spaventevole: accenti perfetti, semicrome a tempo,
una linea di mozza della casa
dell’imbecille guerra che diluisce la morte.


da Il verso del taglio  (2015)

La tegola

 

Dalla crepa entra
la luce, dice rauco il cantastorie
dalla parola si rovescia
la gioia, recita il salmo
dell’ora seconda
Una levigata stasi, una
inquieta stabilità ora.
Non soffia più
il vento
Non soffia più
non muove niente
La materia, la terra, cotta
nutrita del calore
e poi stinta
dall’eco di mansarda
da urla di rabbia e distanza
da chi vuole
essere tetto, crine, coperta.


da Il verso del taglio  (2015)