Viaggio in Armenia. Gli studenti dell'Alma Mater portano la lingua italiana nella città di Gyumri

L’Armenia, ovvero Hayastan (Հայաստան) per il suo popolo, è oggi una nazione giovane dalla cultura antica, che trova dimora su un altopiano percorso da catene montuose di origine vulcanica, e che confina a nord con la Georgia, a est con l’Azerbaigian, a sud con l’Iran e a ovest con la Turchia. La sua delicata posizione geopolitica ha ulteriormente rafforzato l’identità di un popolo fiero che ha storicamente dato prova di grande compattezza etnica e culturale. Un popolo che oggi guarda ad occidente, anche attraverso gli occhi degli studenti dell’Università di Bologna, da anni impegnati in uno scambio di culture e conoscenze con il paese sub-caucasico.

Nasce dall’intuizione del dottor Antonio Montalto, console onorario d’Italia a Gyumri, il progetto che da una decina d'anni porta ogni anno diversi studenti del nostro ateneo nella seconda città più popolosa dopo la capitale Yerevan. Qui, a pochi chilometri dal confine con la Turchia, si impegnano per quattro settimane a insegnare la lingua italiana alla popolazione locale, mentre approfondiscono aspetti linguistici e culturali legati ai loro percorsi di studi. 

Anna Sirinian, docente di Lingua e letteratura armena, ha accolto con entusiasmo la proposta lanciata dal dott. Montalto. "Ospitare ogni estate a Gyumri studenti del corso di armeno dell’Università di Bologna in veste di insegnanti di italiano rappresenta una preziosa opportunità di ingresso nel mondo armeno di oggi," racconta la professoressa Sirinian. "È un reciproco, arricchente scambio: attraverso l’insegnamento dell’italiano gli studenti dell’Alma Mater sono introdotti nella realtà armena, tra la gente comune (il corso di italiano è aperto a tutti), e possono a loro volta sperimentare quelle nozioni linguistiche e culturali apprese durante le lezioni. Di solito l’esperienza – cui partecipa anche l’Università di Pisa (prof. Alessandro Orengo), e che quest’anno, purtroppo, a causa dell’emergenza coronavirus non ha potuto svolgersi - lascia un’impronta profonda in chi vi ha preso parte. Alcuni degli studenti hanno, ad esempio, chiarito e rafforzato tramite essa la loro vocazione all’insegnamento. Non posso dunque che tracciarne un bilancio più che positivo, ed essere grata al dottor Montalto per aver dato vita e per sostenere questa iniziativa, che mi auguro possa durare ancora per lunghi anni." 

“Il mio primo viaggio in Armenia è stato nel 2014,” ci racconta Rebecca Borsella, laureata all’Alma Mater nel 2016 con una tesi in Lingua e letteratura armena e oggi professoressa di Lettere alle scuole superiori. “Lo scopo educativo del mio viaggio era duplice: da un lato era un’opportunità unica per imparare un po' di armeno moderno, mentre dall'altro potevo insegnare la mia lingua e cultura agli armeni. Ero estremamente curiosa di conoscere questo popolo, di cui conoscevo praticamente solo la storia.”

Più recente è invece l’esperienza a Gyumri di Susanna Lepri, attualmente impegnata a concludere il suo corso di laurea magistrale in Storia presso l’Università di Bologna, con una tesi sui rapporti tra la popolazione cristiano-bizantina in Anatolia e gli eredi di Osman Ghazi  [fondatore dell'impero ottomano, n.d.r.]

“Nell’estate del 2019 mi trovavo in Armenia per una scuola estiva presso il Mejlis Institute, con sede a Yerevan. Dato che ero già nel paese, ho deciso di aderire anche al progetto del corso di italiano a Gyumri per quattro settimane, in modo da trascorrere un po' più di tempo in questo interessante Paese e mettere alla prova le mie capacità in qualcosa di completamente nuovo.” Un’esperienza che, nonostante le difficoltà iniziali, ha senza dubbio rafforzato il legame di Susanna con la cultura armena. “Sono molto grata per la pazienza che il dottor Montalto e i miei studenti mi hanno riservato. I primi giorni non avevo un piano preciso, ma ero determinata a dare il massimo. Non sono sicura di essere stata una grande insegnante, tuttavia sono riuscita ad instaurare una forte amicizia con la maggior parte dei partecipanti, ed è la cosa più importante dell’intera esperienza.”

L’immediata intesa con il popolo armeno trova d’accordo anche Rebecca. “Nel mese e mezzo che ho trascorso in Armenia non c'è stato un solo giorno in cui non mi sia sentita a casa, amata e benvenuta. In realtà, il popolo armeno è uno dei più simpatici e accoglienti che abbia mai conosciuto: nessuno mi ha mai ospitato con tanto amore come loro hanno fatto con me,” ci racconta. Sebbene, qualche volta, le differenze culturali si siano fatte comunque notare. “Ho imparato nel tempo che quando gli armeni dicono 'va bene, nessun problema' è allora che devi davvero preoccuparti!”

Secondo Rebecca, una delle principali somiglianze tra il popolo italiano e quello armeno è la tenacia, la resilienza e la capacità di far fronte a situazioni anche molto difficili senza scoraggiarsi. “Non solo senza scoraggiarsi, ma anche senza lamentarsi troppo,” aggiunge. “Penso alla resistenza che hanno mostrato gli armeni dopo il genocidio, a come hanno cercato in tutti i modi di difendere e salvaguardare la loro terra e la loro cultura.”

E sebbene i rapporti con i vicini turchi siano ancora oggi difficili, il popolo armeno riesce a mantenere ben salda la propria cortesia e tolleranza. “Il fatto più curioso che vorrei condividere è la reazione delle persone quando ho detto che sono interessata alla Turchia e alla lingua turca,” racconta Susanna. “In entrambe le città ho avuto una risposta calorosa. A Yerevan, metà degli studenti della mia scuola erano turchi. Anche quando mi sono trasferita a Gyumri e mi sono presentata, le mie classi mi hanno accolto con un grande sorriso. Alcuni studenti mi parlavano addirittura un po' in turco.”

Di tutt’altro tenore è invece il rapporto degli armeni con l’Italia. “Ho subito notato la curiosità delle persone nei confronti del mio paese, e anche quanto bene fossero informati a proposito dell’Italia,” continua Susanna. “Mi ha invece rattristato vedere quanti giovani armeni pensino di dover emigrare all’estero per avere una vita migliore.”

Un fondamentale e strategico punto d’incontro tra l’Italia e l’Armenia è, secondo Rebecca, proprio l’Università. “Se c’è qualcosa a cui gli armeni tengono molto e che hanno cercato in tutti i modi di salvare dall'odio del genocidio e dalla implacabilità del tempo, è la loro cultura. Gli armeni hanno capito subito che i loro libri costituiscono la loro storia, e per questo vanno difesi, studiati e amati, perché conservano la loro memoria.” In questo momento storico, forse, anche in Italia dovremmo ricordare con maggior forza chi siamo. “Dovremmo difendere la nostra storia e dialogare con essa, imparare da essa. Per questo credo che armeni e italiani debbano incontrarsi di più nelle università, per ricordare le loro comuni radici cristiane e ripartire da queste.”

“L’Armenia è un paese che ha davvero molto da offrire, e non solo a noi italiani,” aggiunge Susanna. “L’Università, come già accennato da Rebecca, potrebbe e dovrebbe avere un ruolo chiave nello sviluppo della nazione. Si dovrebbe puntare sugli studenti internazionali e attirarli nelle meravigliose città armene.” L'istruzione inter-culturale come veicolo di sviluppo e benessere insomma, a conferma della storica e sempre attuale importanza dell'università e degli studenti nella costruzione di un presente proiettato nel futuro. 

"Gli studenti dell’Alma Mater sono stati bravi e hanno interpretato il loro ruolo in maniera profonda," commenta il dottor Montalto. "Credo che alla fine ciascuno di loro abbia potuto scrivere una bella pagina nella propria vita, indipendentemente dall'occasione dei corsi di italiano. Il loro numero è stato rilevante. Ricordo con particolare commozione la prima volta in cui esposi il progetto alla prof. Gabriella Uluhogian [docente di Lingua e letteratura armena all’Alma Mater dal 1973-2004, n.d.r.], la quale, con l’intuizione tipica dei grandi, appoggiò immediatamente l'iniziativa. Sono a mia volta grato all’Università di Bologna, alla prof. Sirinian e a tutti gli studenti per la bella esperienza finora vissuta."

  

 

Siamo pochi, ma ci chiamano armeni. Noi non ci consideriamo superiori a nessuno (…). Semplicemente, sappiamo scolpire monasteri dalla roccia, dalla pietra creare pesci e dalla terracotta uccelli, per studiare e imparare il Bello, il Buono, il Nobile, il Sublime (...). Ovunque siamo stati, ci siamo impegnati a favore di tutti, abbiamo costruito ponti, unito archi, arato campi e mietuto raccolti; a tutti abbiamo offerto idee, consigli, canti (...). Siamo pochi, è vero, ma ci chiamiamo armeni. Sappiamo gemere per ferite ancora dolenti ma anche gioire di nuovo entusiasmo e far festa.

- Paruir Sevak (1924-1971), poeta armeno

 

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